Profugos
Pablo Larraìn & Johnathan Jacubowicz
2011
La cocaina rende molto più della rivoluzione. E ti toglie meno, molto meno. Probabilmente è proprio il passato da rivoluzionario ad aver prosciugato l’anima e il cuore di Oscar Salamanca. Restava poco da togliergli. Un fantasma che sputa sangue e tossisce violentemente, malato terminale. Capelli lunghi, barba lunga, occhi di ghiaccio e, da qualche parte nel Cile, una figlia adolescente che è tutto quello che di umano gli resta.
Io voglio bene a Salamanca. Voglio bene a questo relitto che aveva sogni ed ideali più grandi di lui, e si ritrova a trafficare cocaina con la faccia imbronciata e la pistola sempre in pugno. Sa che la morte cavalca al suo fianco e ha imparato a conviverci. Ogni tanto il tristo mietitore gli manda un sms, e Oscar si chiude in bagno a sputare sangue e ad aspettare che passi.
I suoi sguardi carichi di odio rivolti a Moreno, Moreno che infierisce sui corpi dei narco-traditori con la stessa ferocia e precisione da macellaio che usava quando i corpi erano dei compagni di Salamanca. Tormento continuo, tanto incessante da diventare un accessorio, un pendaglio da portare appeso al collo, dal peso facilmente sopportabile e di minimo ingombro.
L’anima di Salamanca respira quando il suo corpo corre a perdifiato, inseguito da sbirri o narcos che vogliono ucciderlo. Oscar vive quando rischia di morire, si sente libero quando una pallottola lo sfiora, è se stesso quando copre la fuga di un suo compagno di sventura.
Oscar Salamanca e Dikotomiko sono amici, passano ore ed ore seduti in veranda a fumare e scacciare zanzare. Parlano poco, sputano e quando il disco di Camila Moreno arriva alla fine del lato A, nessuno dei due vuole alzarsi per mettere il lato B..