Ci conoscete, siamo strenui sostenitori del cinema di genere, di tutti i generi. Per lo stesso motivo, siamo fieri antagonisti del cinema sul genere, quello che antepone il marchio dell’orientamento sessuale al significato intrinseco delle opere, come se sbandierare la lotta allo stigma sociale basti a fare buoni film. Detestiamo pertanto l’autoproclamantesi cinema queer, evitiamo guardinghi i film che sguazzano nel colorato nutrissimo panorama dei queer festival.
Capita tuttavia che un assiduo frequentatore di queste kermesse sia un autore di grande spessore, meglio, dal grande potenziale. Parliamo di Xavier Dolan, canadese del Quebec, 25 anni, 4 film all’attivo e più di 40 premi già vinti, nei festival veri (Cannes e dintorni) e negli omofestival, per l’appunto. Orgogliosamente e narcisisticamente omosessuale, Xavier si pone sovente a protagonista delle sue opere che trattano tutte, dico tutte, il tema della diversità sessuale e del rapporto con madri mantidi e matrigne, ma il suo approccio alla materia è cinefilo più che ideologico o politico, così da raggiungere i risultati disturbanti e perturbanti che tanto ci piacciono e sempre inseguiamo.
È il caso di Tom à la Ferme, film sviluppato da una preesistente piece teatrale: due uomini e due donne, in bilico tra ragione e follia, a spartirsi la scena sull’arco di 90 minuti. Il tema pare esile, sembra quasi derivare dal Cado dalle Nubi di Nunziante/Zalone: alla morte del suo compagno, Tom va al paesello a trovare la di lui madre, la scopre alienata, ignara del loro rapporto e della loro omosessualità e soprattutto ostaggio di un nerboruto machissimo figlio e fratello del trapassato. Il villico lo costringe alla dissimulazione e presto lo soggiogherà, in un crescendo di violenza e fascinazione spezzato dall’apparizione di una finta fidanzata del defunto. Ciò che davvero colpisce, dicevamo, non è la tematica, quanto il modo assolutamente personale di rappresentare l’evoluzione e l’esplosione dei rapporti umani, segnati dalla deriva dell’individuo che per accettarsi ha bisogno di rappresentarsi in modo altro dal reale, o dal sociale.
Tom à la Ferme è un film di genere, psicothriller claustofobico e atipico. C’è la lezione di Polanski, ma anche il cinema del primo (e dell’ultimo) Aronofsky, c’è il cinema veritè, ci sono anche Losey e Hitchcock. Dolan adora mostrarsi in primi piani numerosi e interminabili perché padroneggia il mezzo ed il contenuto filmico con talento innegabile, sa camminare su terre care ad Almodovar in un memorabile tango omosex ballato in un granaio, poi addirittura si permette un cambio di formato di ripresa nel tesissimo epilogo del film, che fa urlare al genio e non al manierismo. Riesce insomma, con palese intenzionalità, a trascendere dal cinema sul genere ed a fare un film spregiudicatamente universale, giudicando con il sorriso cinico dell’ironia l’aleatorietà delle relazioni sociali e sentimentali ed i meccanismi di attrazione e repulsione insiti in ogni rapporto.
Oggi è come se una parte fosse morta,
ed io non posso piangere.
Perchè ho dimenticato
tutti i sinonimi della parola “tristezza”.
Ora,quello che mi resta da fare senza di te
è sostituirti.
Siamo lieti di averlo conosciuto, e dei premi che anche in queste ore continua a mietere con Mommy, continuando ovviamente a parlare di sé, e di sua madre, e dell’essere omosessuale. Prima o poi crescerà e ammainerà la bandiera arcobaleno per sventolare quella rossa e nera.
Tom à la Ferme
2013
Xavier Dolan
film particolare e affascinante, però dolan credo possa fare ancora di meglio.
probabilmente mommy potrebbe essere il film definitivo della prima parte della sua carriera, chissà…
Lette alcune critiche su Mommy, sembrerebbe una sorta di Tom à la ferme 2 per scelte stilistische prima ancora che di contenuto, ma Dolan ha una belle verve, mi ricorda anche la naivete di Valerie Donzelli