Blackhat, un film di Mann-iera


Premi il grilletto e la pistola fa bang. Ma c’è bang e bang. Ci sono i bang fasulli, addomesticati fino a risultare mera colonna sonora. Ci sono i bang teorici e politici, come quelli indimenticabili di Open Range, dove occhio orecchio telecamera e sceneggiatura seguivano la traiettoria del proiettile dopo la detonazione, documentando impatto e danni di ogni singolo colpo. E poi ci sono gli spari, spaventosi e devastanti, di Michael Mann. Che in una sala vuota, eravamo dieci persone al massimo, risultano ancora più maestosi e definitivi. In America l’eco delle sparatorie deve essere stato terribile, tanto da far scappare gli spettatori impauriti nella sala di fronte dove è uscito in contemporanea American Sniper, e decretare così un flop letale. In un futuro, spero prossimo, Mann realizzerà un altro film, e continuerà il suo percorso monolitico fregandosene dei risultati al botteghino di Blackhat, e io sarò un uomo felice.

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L’intro dal look retrò ci mostra cosa succede nel mondo reale quando un dito schiaccia il tasto “invio” su una qualsiasi tastiera di pc in una cameretta qualsiasi, scatenando un viaggio che attraversa circuiti, cavi, fibre ottiche e continenti, capace di arrivare ovunque e provocare disastri illimitati: una rappresentazione reale, fisica e tangibile di un atto di cybercrime. Il viaggio è horror, è la bestia che attraversa pareti e ostacoli, inarrestabile, con la bava alla bocca e priva di pensieri e sentimenti: la minaccia all’immaginario occidentale si annida ovunque, anche e sopratutto nelle interiora dell’occidente stesso, lo stato di allerta è perenne e impotente, la bomba può esplodere in ogni luogo e in ogni momento. Il danno è oramai irreversibile, che la bomba poi esploda davvero non ha la minima importanza. Conta solo la sensazione globalizzante di sentirsi circondati. Fingiamo di stare in guardia, allora, sgraniamo gli occhi e guardiamoci le spalle. Fingiamo di essere in un thriller, come se ci trovassimo in un film di Michael Mann.

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Solo lui poteva usare la maschera, il ciuffo e il corpo pompato del fighissimo dio del tuono senza farmi attorcigliare  le budella. Riuscendo anche, tenerone di un Mann, a rappresentare l’amore nello sguardo del bamboccio, che si sofferma furtivo sul collo o su un braccio dell’amata, dettagli da stampare nella memoria e conservare, momenti di romanticismo che si avvicinano ai poetici picchi raggiunti in passato dal maestro John Woo. Prendiamo Tom Cruise, Colin Farrell e persino Chris Hemsworth. Invertiamo a caso i loro ruoli in Collateral, Miami Vice e Blackhat, oppure affidiamo i ruoli da protagonista nei tre film a uno solo di loro, scegliendo a caso. Non cambierebbe niente, perchè i protagonisti dei tre film non sono quei tre damerini, ma le notti azzurre in digitale e le sparatorie, la luce il suono e lo spazio. Che pulsano e ipnotizzano, sono ancora una volta di una bellezza che tramortisce, come i paesaggi desertici con al centro l’eroe di turno, solo e spaesato come in un luogo psichico e interiore.

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Tornando al futuro e ai futuri eventuali progetti di Mann, quello che vorrei fosse il suo definitivo capolavoro dovrebbe essere un film privo di dialoghi. Nessuno dovrebbe spiccicare una parola, allora l’incanto sarà totale e ineguagliabile. Soltanto la sua visione, i suoi suoni, luce e spazio, notte e motoscafi. E musica.

Blackhat

Michael Mann

2015

 

Un pensiero su “Blackhat, un film di Mann-iera

  1. Sottoscrivo parola per parola, anche se per me Blackhat è qualcosa di vicino ad un capolavoro. Ma da quel che leggo hai visto nel film ke stesse cose che ho visto io e che troppi hanno preferito sorvolare con pressapochismo.

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