Una delle leggi sacre ed universali del noir, forse la più sacra ed universale, riguarda l’impossibilità di lasciarsi alle spalle il passato, specie se si tratta di un passato violento e costellato di nemici. Esemplare è il caso di un poliziotto temuto e rispettato da tutti, incubo dei boss e noto per la sua attitudine a spaccar loro più o meno ogni osso. Per quanto si sforzi di vivere come un lupo solitario, nel cuore di Ji-wook qualche affetto penetra e nidifica: il giovane collega che lo idolatra, e la graziosa ragazza che gli serve da bere, occasionalmente informatrice ed esca, su tutti. Quando Ji-wook decide di lasciare la polizia e diventare di conseguenza più vulnerabile, espone inevitabilmente le persone care alla sanguinosa vendetta dei suoi nemici. Così vanno le cose, così devono andare, nel noir. E così vanno in questo film. Ma c’è un dettaglio, che rende questo personaggio, questa storia e questo film sovversivo: il passato che Ji-wook vuole lasciarsi alle spalle non è semplicemente quello di poliziotto, ma quello di carismatico rappresentante del sesso maschile. Dopo aver annientato una gang nei panni del poliziotto macho, si veste e si trucca da donna camminando impacciato sui tacchi alti: non c’è traccia di caricatura, anche se si ride, in una delle scene più riuscite del film. Quello che viene in mente è piuttosto la doppia identità dei supereroi, sottolineata dalle numerosi cicatrici e protesi metalliche che addobbano il corpo del protagonista, dentro e fuori.
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