Sangue del mio sangue. Ci meritiamo Marco Bellocchio


Sorrentino è diventato, suo malgrado, un discrimine. Il suo successo, più ancora del suo modo di fare cinema, hanno creato un’aspettativa querula se non compulsiva, l’aspirazione ad una premialità certa conseguente al dovere della visione.  Bisogna vedere Sorrentino, perché i suoi sono grandi film. Tanto più è alta, condivisa, l’aspettativa, tanto maggiore, cocente, può essere la delusione, fino a giungere ad un’iconoclastia farisaica dal film allo stile, dal regista alla persona. Il sorrentinismo, pur nascendo vox media, indica ahimè connotati negativi di affabulazione, musica, immagini, che prescindono dalla realità dell’opera in esame. Quando, nel bel mezzo di una drammaticissima scena in costume – l’epoca è il 600 – un coro di voci femminili  intona Nothing Else Matter dei Metallica, i peli si drizzano e la pelle si increspa, pronta a rigettare un attacco di sorrentinismo acuto, invece è un falso allarme, si tratta di un maestro che provoca e sconvolge, che si apra il portone della percezione quindi, che lo si faccia entrare. Sangue del mio sangue, di Marco Bellocchio.

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Che situa la sua opera in Italia, nel convento della avita Bobbio, al di qua di un portone che si apre manco fosse un film di John Ford. Strane cose succedono in quel convento, ci sono monache cieche come indovine, sacerdoti lubrichi come satiri, transiti di apparente dualità. E’ una messa in scena in bello stile, una rappresentazione di caratteristi buoni per uno sceneggiato d’antan sul canale nazionale: dietro le maschere c’è la farsa, la beffa, la spudorata liceità della metafora. Bellocchio infatti continua ad essere se stesso e dispiega la sua visione, il suo attacco al potere, la sua fascinazione per il potere, qui  primariamente nella forma di un processo sommario ad una concubina, le cui grazie indussero al suicidio un religioso infoiato. Il convento, la chiesa. Fucina di potere temporale. Un unico abominio clericale. Delirio onnipotente. Dominio che sovrasta. Efficienza d’inetto. Burocratica casta. Potenza del pesante. Preme compatta schiaccia. Preme compatta schiaccia.

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Guardiamo Benedetta, Monna Lisa Monaca di Monza, interprete di un Martyrs all’italiana, sottoposta metodicamente a prove a coefficiente crescente di brutalità e ironia, fino alla tumulazione muraria. Ci compiacciamo anche di un threesome boccaccesco, sorpresi che Alba Rohrwacher, powered by Bellocchio e free from Italian indie, possa indurci un tale desiderio sessuale. Poi siamo costretti siamo a svegliarci, o ad assopirci, proiettati in un cadenzato presente parallelo in cui un vecchio non morto – incredibilmente simile all’Eldritch Palmer di The Strain – lascia il loculo per palesarsi nel paese, costrettovi dalla necessità di mantenere l’ordine costituito. Stanco e derelitto è il vampiro, i tempi cambiano ma sempre mala tempora sunt, al dominio occulto e silenzioso della casta attentano i ciarlatani, i nuovi ricchi, gli uomini senza passato, tutti indistinti nel luogo comune, riuniti al pianoforte per un Torna a Surriento che stona acido quanto i Metallica nel ‘600, appunto. Sono i bachi nel sistema, le dissonanze funzionali alla sovversione, solo che nel presente il potere si fa esso stesso farsa, non più sacrale ma cartolare, il terrore dei finanzieri, gli scontrini, le fatture, i lampeggianti della Madama. Si parla del Belpaese, ovvio, dolorosamente ovvio, e si ride di tutta la sua misera retorica, del divertentismo e dei trenini, delle sale da gioco, dei falsi invalidi, anche del coro degli alpini. Poi si ritorna a quel falso passato, quando la tentatrice fu murata viva, ed è lì che avviene la rivelazione, lì che esplode il cinema, in un full frontal splendido, statuario, un giovane corpo di donna che annienta, atterrisce, azzera il tempo.Viva l’Italia liberata!

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Sangue del mio sangue è un’opera non lineare – non consequenziale, ha detto Bellocchio -, difficile da accettare in quanto grondante introspezione e simbolismo. Questo cerchiamo, il seme inquieto del caos pantocratore, visioni oniriche, immagine eretiche. Nothing else matter.

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