Sepolta per sempre l’era dei colletti bianchi, attraversiamo incautamente l’epoca dei colli rossi. I redneck. Di questi giorni è un dibattito surreale, virtuale, letale tra Tom Wolfe e Michele Serra, avente ad oggetto il rapporto tra la sinistra e questi fantomatici autoctoni del Nord America, di colore bianco, genere subumano, sottospecie bifolco. Wolfe accusa i democrats di averli ignorati, peggio, di averli evitati nelle loro politiche, di averli rimossi dalla loro visione di mondo attuale e futuribile, e questa negligenza sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il water, con fuoriuscita di Trump. Michele Serra, dalla remota periferia dell’impero, si è sentito chiamato in causa, senza una ragione specifica, o forse con una ragione generica, perché da sempre gli Italiani che ben pensano sognano languidamente di cogliere la Grande Mela. Almeno noi, ha risposto Serra, intendendo per noi il collettivo internazionale marchiato a sproposito come “radical chic”, noi ci abbiamo provato con i redneck, in epoca passate certo, senza riuscirci, ma abbiamo provato ad educare sti miserabili. Per fortuna di Tom, di Michele, per fortuna nostra e di voi tutti, ci sta pensando il cinema a mettere le cose a posto. Three billboards outside Ebbing, Missouri.
Un titolo così è già un problema: è lezioso, pedante, ansiogeno, verboso. Provoca curiosità, anziché suscitarla. Impone una pronuncia cadenzata, rispettosa della punteggiatura, quasi fosse un verso poetico. Sarà che McDonagh, regista e sceneggiatore britannico, ha voluto marcare una discontinuità dai precedenti, secchissimi titoli, In Bruges e Seven Psycopaths, mantenendo al tempo stesso l’aggettivo numerale, a lui così caro per la sua funzione strutturale, e la contestualizzazione nel nome proprio di città. Qui, addirittura, il nome di città è ulteriormente circostanziato – delimitato, racchiuso, confinato – nel nome proprio di Stato, e che Stato. Il Missouri, nel dettaglio della cittadina di Ebbing, è la redneck gated community al centro del racconto: fuori da Ebbing, ma dentro il Missouri ci sono 3 manifesti. Guardando i 3 manifesti, all’inizio del film, o anche nelle numerose immagini presenti in rete, ho pensato immediatamente a Paul Schrader, a John Carpenter, a Cary Fukunaga. Paul Schrader, sotto i titoli di coda di The Canyons, mostra una teoria di schermi cinematografici in disuso, allegoricamente affini ai 6X3 in disuso nell’incipit del film di McDonagh. Il cartellone è metafora del cinema, quindi. I messaggi sui 3 manifesti, poi, fanno pensare alle verità nascoste, gli ordini subliminali, nell’Essi Vivono di Carpenter. Il cartellone come una Tavola della Legge, quindi. L’oggetto dei messaggi sui 6X3, relativi ad un irrisolto caso di cronaca nera, fa pensare ai True Detective di Fukunaga/Pizzolatto, ai Missing che costellavanao le strade della Luisiana – altro covo di redneck della pietra, il Sud come il Midwest – percorse dai detective Rust (McConaughey) e Marty (Harrelson) alla ricerca di Carcosa. Anche a Ebbing c’è Harrelson, ma purtroppo non è un true detective inside Ebbing, è uno sceriffo bonario e moribondo. C’è la cerchia dei suoi affetti, la fratellanza ariana dei suoi subordinati (Sam Rockwell ora e per sempre), la comunità ottusa dei gretti compaesani. Woody è un baricentro, un fattore di stabilità quindi di conservazione. La sua antitesi è Frances McDormand, che se fosse un uomo sarebbe, in questo contesto, Clint Eastwood Gran Torino Walter “Walt” Kowalski. Lei, e il suo micromondo.
Il filo rosso che li unisce è il delitto irrisolto della figlia di Frances, true crime inside Ebbing, Missouri, e l’assenza del colpevole è l’innesco di tutte le vicende. Che non vi spiegherò, perché sono tante, e tutte imprevedibili, come una storia che si componga in itinere, deviando di continuo, sinuosa e venefica come i serpente a sonagli del Missouri. Si potrebbe definire il film come una rivistazione del genere Rape & Revenge, con lo stupro (rape) fuoricampo e precedente al quando della narrazione, e la vendetta (Revenge), pure fuoricampo, ma successiva. Perchè occhio per occhio lascia il mondo cieco, ma non in Missouri. In Missouri ci sono i redneck, quindi occhio per occhio è un’ideologia, un modo per guardare il proprio mondo, per imparare ad accettarlo e per continuare a non guardare tutto il resto.
Ho trovato violenza, tanta violenza nel film di McDonagh: preannunciata, trattenuta, improvvisa, incontenibile, esibita, spettacolarizzata. Ho trovato sofferenza, una condizione di condanna patita come uno stato di dolorosa necessità. Ho trovato ironia, declinata nelle forme più ciniche dello sberleffo alla diversità di genere, di razza, di attitudine fisiche: certo, un cinismo mai veramente atroce, che titilla il comune, oscurantista sentire attuale, senza sovvertirlo. Comunque c’è. Ho trovato, in nuce, la riflessione sul potere dei media e su come osi, la patria del redneck, vendersi come esportatrice globale di democrazia: McDonagh non vuole mettere troppa carne sul fuoco dei manifesti, qui quindi guarda l’America come malata terminale, più che come dispensatrice di morte.
Ho trovato , come il titolo lasciava a intendere, la scrittura. Una bella scrittura, battute irresistibili, battute maieutiche, battute mugugnate e battute che non ti ho detto mai. A volte troppo televisive, a volte troppo programmatiche, ma efficaci, rivelatorie dei personaggi cui sono toccate in dono. Soprattutto, ho trovato tanto cinema, uno sforzo colossale, calvinista, di racchiudere tutto il mondo, racchiuso dal Missouri, racchiuso da Ebbing, nello spazio di ogni singolo frame: un’impresa titanica, a maggior ragione per un uomo di teatro come McDonagh, un’impresa dai risultati entusiasmanti.
Sia lodato il dio del cinema, that God be praised, the wrong-eyed Jesus be praised!