Ho paura, tanta paura: “ Ad un certo momento ho temuto che, davanti all’ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci, ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto, non aspettando più gli altri Paesi europei”. Sono le parole che ha usato il ministro Minniti, non Storace, non Buontempo, non Salvini, non Meloni, in merito a quella sporca brutta faccenda lì, la faccenda dell’immigrazione. Un rischio per la tenuta democratica del Paese. Lo ha detto davvero, un ministro, ex comunista, ora organico al principale partito della post sinistra italiana. Ne avete memoria? Io sì, cerco di non dimenticare, perché i fascisti sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi. Sono tornato, di Luca Miniero.
Luca Miniero è un pioniere, un pazzo, un invasato, un satiro. Si è messo in testa di fare una colonscopia al Paese, di mostrare cosa accade nel ventre molle e marcissimo della Penisola. Non è il primo a farlo, è però il primo a farlo con il registro dell’ucronia. Prende il duce, uniforme bisunta e corda ancora ai piedi, e lo conduce in un viaggio strampalato, su e giù per la penisola, alla ricerca del suo esercito. L’esercito del selfie. La cifra dell’opera è comica, come può essere comico stare in obitorio, compunti davanti ad un cadavere, e restare basiti da un sonoro, tremendissimo peto rilasciato dalla salma ignara. La risata, davanti all’orrore, è una difesa. E’ la paura che prende i muscoli facciali, li costringe a contrarsi. Sono i denti che si serrano, il ghigno che sta per diventare digrigno. Miniero rappresenta Mussolini, un duce stolido, prepotente, violento, fanatico. Troglodita, maschilista, crudele, dispotico. Il suo duce, il duce di Miniero, non è una macchietta, è una sagoma, un cartonato a due dimensioni che rappresenta la Bestia: serpeggia qua e là, la creatura infame, attraverso i guizzi negli occhi del personaggio, sembrerebbe lo sguardo di un folle, è la visione di un criminale. Tutto questo è evidente fin da subito, e pone noi che guardiamo in posizione molto scomoda: Miniero, attraverso la penna felice di Guaglianone, sta dissacrando il mostro, lo sta esibendo – anche nudo, anche a culo scoperto -, nella miseria delle sue pulsioni, nella vanagloria dei suoi propositi. Non come totem, ma come pagliaccio. Mussolini come Pennywise, senza denti aguzzi ma con la volontà ferrea di portarci tutti nelle fogne, da dove veniamo e da dove forse non siamo mai usciti. Sono Tornato è un Italian Black Mirror, è lo specchio, color nero-fascio, nel quale sprofonda l’immagine di una nazione vile, beota, arraffona.
Un Paese che perpetua il fascismo nelle sue molteplici sfaccettature. Nel lavoro ad esempio, territorio della prevaricazione, dell’umiliazione, della prepotenza. Nel costume, dove il genere e la provenienza sono ancora stigmi indelebili. Nella società, dove l’individualismo più bieco ha distrutto qualsiasi coscienza politica, qualsiasi senso di appartenenza ad una collettività. Il duce di Miniero è un oggetto secondario della rappresentazione, gli oggetti primari sono gli Italiani, ripresi davanti ad una telecamera (gli studi televisivi dei talk show, della tv del dolore, della tv spazzatura), o dietro ad una telecamera (le segrete dove si apparecchia, pervicacemente, il declino e la deriva di un popolo). Il duce di Miniero è un criminale, criminale è anche la (gg)gente comune che incontra, replicando inconsapevole il viaggio in Italia di Pasolini: personaggi spregiudicati, razzisti, qualunquisti. Analfabeti, morali più che funzionali. Primati che parlano di rivoluzione, senza mostrare traccia alcuna di evoluzione.
Tutto questo è evidente, dicevo. Sono tornato è un’opera chirurgica, è un bisturi così aguzzo che penetra nelle carni senza farsi accorgere, incide e squarcia. Stupisce, quindi, che le critiche più veementi siano piovute da chi avrebbe dovuto capire e proteggere il film, dalla galassia della sinistra – Internazionale, in primis – per cui esso sarebbe un’opera di banalizzazione, di normalizzazione, di revisionismo vergognoso. Vergognose sono queste accuse, tradiscono il disagio di chi rimane spiazzato, perchè si può essere antifascisti in tanti modi, si deve essere antifascisti, senza che nessuno si senta antifascista in modo più ortodosso degli altri.
Non ci troviamo, comunque, davanti ad un’opera teorica, ad un manifesto programmatico: Sono Tornato è un racconto, fatto di personaggi delineati in modo superbo, fatto di battute al fulmicotone esplose al momento giusto. Fatto di scene madri, ne abbiamo contate non meno di quattro, e di twist narrativi geniali per quanto sono fuorvianti ed al contempo rivelatori. Sono Tornato è un’arma formidabile, è il cinema italiano che finalmente s’è desto, che risponde alla barbarie imperante come meglio sa: con una pernacchia, con uno sberleffo.
Sia lodato il dio del cinema.
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Con tutto quello che è successo poi adesso, ci voleva proprio un film del genere. Come una persona possa considerare giusto il fascimo per me è un mistero. Che poi io a Macerata ci vado pure all’Università. E che questo è stato il primo vero atto terroristico in Italia… ed è stato fatto da un italiano fascista.
Primo vero atto terroristico dopo tanto tempo.