Con un titolo così, è inevitabile accostare questo film alle centinaia di gloriosi prison-movie carichi di exploitation, che spuntavano come funghi sopratutto negli anni settanta. Ma S. Craig Zahler (che già ci aveva lasciato a bocca aperta col suo western/horror Bone Tomahawk) percorre una strada meno agiata, almeno in partenza. Il film arriva a mostrare picchi di rabbia e violenza inaudita, ma parte in maniera inaspettatamente “tranquilla”: Vince Vaughan è Bradley, il protagonista (ex pugile alto due metri, con il cranio rasato e tatuato), e quando perde il lavoro e rischia di perdere anche il matrimonio, cede alle sirene di un boss di sua conoscenza e comincia a fare il corriere della droga per portare la pagnotta a casa.
Le cose sembrano andare bene, ma l’illusione dura poco e Bradley finisce dietro le sbarre. Quella che era la sua principale motivazione, proteggere la famiglia, sarà anche la causa di decisioni agghiaccianti e violentissime, che lo trascineranno in una spirale infernale. Appaiono Udo Kier e Don Johnson in ruoli secondari, e Vince Vaughan è da applausi, capace di far percepire la forza bruta e oscura del suo gigantesco personaggio allo spettatore (sfascia una macchina a mani nude, tanto per cominciare), ma anche la sua “giusta causa”: spaccare un numero imprecisato di teste, grattuggiare i volti e spezzare le braccia non è così grave, se lo fai per il bene di tua moglie incinta. Ribadiamolo, le scene violente sono violentissime, tanto da sentire la necessità di coprirsi gli occhi. Ma questo non è un torture-porn, è molto di più.