Al principio del film ci si imbatte in una dichiarazione inutile capace di strappare un sorriso, o meglio, un ghigno beffardo e complice: questa è una science fiction fantasy. Il protagonista è un alieno – l’attore americano Brad Dourif, capelli selvaggi, occhi spiritati e denti sporgenti – che racconta la storia e le disavventure del suo popolo, che ha esplorato lo spazio in cerca di un rifugio e di una via di fuga dal loro pianeta morente. Diviso in dieci capitoli, racconta anche il viaggio opposto e speculare degli umani, che hanno lanciato una missione spaziale con l’urgenza di trovare un pianeta ospitale.
Pur utilizzando immagini di repertorio (come gli straordinari filmati registrati durante la missione dello Space Shuttle nel 1989, ma anche le immagini sottomarine girate in Antartide con una piccola macchina digitale da Henry Kaiser: un mondo liquido illuminato dalla luce del sole, che riesce a penetrare lo spesso strato di ghiaccio definito da Herzog “cielo congelato”, popolato da meduse che sembrano davvero provenire da altri pianeti), Herzog continua a fare cinema con lo scopo di dirigersi dove nessun uomo è mai stato prima. Riesce ancora una volta a donare un fascino e uno splendore estremo alla sua opera, che gode di una fusione cosmica di visione e suono (la colonna sonora è stata eseguita da un violoncellista olandese – l’apporto vocale è di un cantante senegalese e un coro sardo – e registrata a Parigi), danzando sull’incerto confine che separa documentario e finzione, e conservando – anzi amplificando al massimo – le caratteristiche sperimentali del suo cinema. Nel DVD appena uscito per Ripley’s Home Video, è contenuto anche “La palla è una bastarda”, conversazione con Rudi Gutendorf.