Primo film in lingua inglese per Claire Denis, proteiforme regista francese specializzata in endoscopie della condizione umana. High Life il titolo, che è una vox media, può significare mondanità, bella vita, o sarcasticamente vita di merda, o anche vita lunga. Lunga come una grazia, o lunga come una condanna. High Life è fantascienza, ma lowconcept, con pochi soldi, bassi ritmi e tante idee. Idee non necessariamente originali, gemmate anzi da uno zeitgeist implacabile quanto un tiranno; assemblate tuttavia in maniera personale. Intendendo, per personale, il modo di guardare i generi e le storie che è proprio dei registi più sensibili, e audaci, nell’attuale panorama francese. Dico (e guardo) High Life di Denis, mi vengono in mente Nocturama di Bonello, Climax di Noe, Dans ma Peau di De Van. Così, di primo acchito.
PADRE NOSTRO, CHE SEI NEI CIELI.
High life è fantascienza religiosa e non epicurea: rifugge il piacere e l’edonismo che possono scaturire dai codici del genere – quando la lontananza dalla Madre Terra significa avventura, curiosità, libertà -, per imporre il monolite della contrizione, del senso di colpa, del messaggio disperante ancorché rivelatorio. Prima di eviscerare i numerosi temi, va detto che è una storia di olocausto, di sacrificio imposto e continuativo, allo scopo di mondare (l’altro) mondo dalla colpa di una mascolinità primitiva, brutale, acefala. Una mascolinità tossica.
Come l’eterna rivoluzione dei corpi celesti, il film comincia dalla fine, oppure non smette di finire: c’è un’astronauta in uscita nello spazio, al lavoro su viti e bulloni fuori dall’astronave, mentre dentro l’astronave una pargoletta lalleggia e piange, rincuorata dalla voce del padre in interfono – assistente vocale? – e dalla tv che proietta un blob di immagini dalla Terra. La bimba si chiama Willow. Salice. Una scelta non casuale, poderosissima. Basta una semplice ricerca in rete per scoprire quanti e quali significati rivesta il salice, tra religioni, esoterismo, filosofia. La più calzante pare quella di Hugo Rahner, gesuita e teologo: “…una pianta che è a un tempo madre e vergine, germogliante e casta, vivente e morta” (rif. Cavernacosmica.com)
…E CAVITA’ DI DONNA, CHE CREA IL MONDO.
Fuori dall’astronave, dentro l’astronave. Fuori, dentro il grembo. Qualsiasi discorso sulla mascolinità tossica origina là dove origina la vita, cioè il grembo materno. High life è una matriosca, una città proibita di grembi concentrici. C’èl’ignoto spazioprofondo, che contiene l’astronave, che contiene donne gravide dai geni incerti. Meglio, conteneva donne gravide, perché l’incipit del film è già uno spoiler, no pregnantsurvivor, solo un padre, e una figlia.
In missione ai confini dell’universo, verso il buco nero, con la consapevolezza che esso è la vagina, l’eiezione dal grembo. La fine? L’inizio? Riavvolgiamo tutto. Parlando di High Life, Claire Denis ci tiene a rimarcare che è un Jail Movie, un film di genere prigionesco. In effetti, dopo il flash forward inziale, si scopre che l’astronave è popolata da ex galeotti, per lo più giovanissimi, cui è stata imposta unapena non rieducativa ma capitale, ancor più sadica perché dovrebbe essere utile all’umanità intera.
JAIL MOVIE
I reclusi sono cavie per testare la sopravvivenza, l’aspettativa di vita (high life expectancy) e la riproducibilità dell’uomo in situazioni estreme. La traccia indicata da Denis, sulle prime, regge e orienta il punto di vista: lo spettatore guarda e giudica i personaggi, sa che sono reclusi perché condannati perché colpevoli. La deviazione, – il detour – parte però quasi subito, perché la presenza di prigionieri fa scaturire la ricerca spontanea dei carcerieri: la prigione ha senso in quanto esiste un equilibrio di forze dicotomiche e bilanciate, il controllore e il controllato, l’ordine e il disordine, la libertà e la schiavitù. Sulla navicella non vi è traccia di questo equilibrio; di più, non sussiste, o non è evidenziata nel plot, una chiara ripartizione gerarchica dei ruoli. Si apprende sì che una efebica reclusa, eterea come una Tilda Swinton 4.0, è il pilota. Si scopre anche la presenza di un comandante nel momento in cui questi è prossimo al trapasso, ma poi basta. Non c’è vicecomandante, non c’è capitano, non ci sono guardie. C’è però un medico, anzi, una scienziata, anzi, una specialista dell’eugenetica. Un’integralista dell’eugenetica. Dibs si chiama nel film , ed è interpretata da Juliette Binoche. E’ sulla navicella non per meriti scientifici, ma per scontare lei medesima una condanna a morte. Dibs, parricida e uxoricida, è il centro di gravità dell’equipaggio. E’ capo. E’ mamma. E’amante. E’boia. Dispensa nutrimento, elargendo eucaristicamente psicofarmaci e sedativi. Inibisce per legge il coito tra componenti dell’equipaggio. Pretende il seme dei maschi e l’ovulo delle femmine, per cercare, in provetta, il parto perfetto. Pratica eutanasia agli ammalati.
WARD MOVIE
Dibs è proteiforme come Claire Denis, come una divinità greca, ed è l’unica vera autorità in questa gabbia di miserabili. I quali sono evidentemente affetti da turbe psichiche, così dal rendere chiaro il trucco, che cioè, sotto il jail movie, si celi un ben più opprimente ward movie, un film di reparto, di sanatorio mentale, di psicosi e di entropia. L’entropia è la naturale tendenza dei corpi a degradarsi, e nel film tutto si degrada, perde di vita, di calore. Si svuota di umori, di sangue e di liquido seminale. Lo sversamento del liquido seminale maschile, per i motivi pseudoscientifici di cui sopra, è una delle due attività consentite all’equipaggio, e ossessivamente praticate. Avviene in rigorosa solitudine, in una stanza che è un fano, una sorta di osceno confessionale, quasi una rivisitazione dei pleasure box nella Pigalle parigina. È la stanza degli orgasmi matti e disperatissimi, è la stanza del climax. E’ anche la stanza della scena cult di High Life: la masturbazione, trionfale, cerimoniale, animale di Juliette Binoche, alias Dibs. Trasfigurata, eccitata, posseduta e che possiede.Il sesso onanistico è una delle due attività consentite, l’akltra è il giardinaggio. C’è, nel cuore, nel grembo più intimo della nave, un piccolo giardino, un hortusconclusus, curato da tutti, con lo struggimento, la dedizione, la cura di cui sono capaci. E’ la terra, la nuda terra che viaggia assieme al sangue dei naufraghi dello spazio, lavorata con utensili grezzi che diventano armi di sterminio, di sangue, blood and soil. Non c’è una vera scintilla da cui scaturisce la violenza, in High Life, la violenza è sottesa alla costrizione, è compagna della disperazione. In un’altra scena di sicuro culto, alcune femmine dell’equipaggio vengono brutalmente picchiate da un giovane maschio che autodistruttivamente è in cerca di stupri. Durissimo questo passaggio, emblema della mascolinità tossica che permea questa piccola società e quell’altra grande società di cui questa è chiara metafora.
Claire Denis si affanna, cerca una risposta perfetta al buco nero che sta per dissolvere tutto, come Dibs cerca il parto perfetto. DIbs lo fa stuprando Monte, che poi è l’unico astronauta superstite di inizio film, e poi inoculando il suo stesso ovulo, da lui inconsapevolmente fecondato, nell’utero di una vittima ragazzina. Dibs, cosìagendo, si impossessa di una generazione che pare incapace di aguire ma buoba solo per essere agita, vittima di una sorta di atarassia genetica, o forse esito scontato della sconfitta dell’edonismo capitalistico. Claire Denis invece risponde ripiegando verso una scelta di amore universale. Solo la famiglia, per quanto asimmetrica, monadica sia, solo l’amore tra un padre e una figlia può mettere ordine nel caos cosmico (rsvpInterstellar e Chris Nolan). L’amore familiare sarebbe quella forza non imprigionabile, non regolabile, non sottoponibile ai tabu, capace, se non di invertire l’ordine naturale delle cose, di ORIENTARE la direzione. Verso la luce appunto, come si fosse in Tarkosky.
SALVATE IL SOLDATO PATTINSON
Un ultimo appunto su Robert Pattinson, che interpreta Monte. Il suo percorso attoriale fa simpatia e compassione, è costretto ad abbrutirsi nelle mani di autori dall’ego mastodontico: sanguinante e moribondo teppistello (in The Rover di D Michod), recitando in inglese ottocentesco (the Lighthouse), o femminilizzandosi (hic) per espiare la sua stessa condizione di sex symbol. Mai una gioia da deus ex machina, sempre a subire, stolido e remissivo. Addirittura, più volte in High Life sembra la versione maschile della Ripley di Ridley Scott, ma solo per i capelli portati cortissimi. Come dite? Sarà lui il prossimo Batman? Prepariamioci allora al più metrosexual degli uomini pipistrello, ahinoi.
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Ancora aspetto l’uscita di questo film qui da noi. Era da molto tempo che ne ero interessato eppure non ne ho più sentito parlare. Comunque un articolo veramente ottimo e completo.
Grazie :) il genere sci-fi vive un momento di transizione, ed il filone intimista non porta incassi, anzi, non li porterebbe se i cinema fossero aperti. Mi sorge un dubbio: che questi film così disperatamente claustrali abbiano prefigurato il lockdown?
Forse non come lo stiamo vivendo oggi. In un certo senso penso si rivolgano al fatto che le persone più vanno avanti più tendono a essere chiuse e ad allontanarsi dagli altri e essere circondato di persone non significa essere aperti o pieni di persone a cui vuoi bene. Diciamo che la tua è una domanda molto interessante.
Isolamento, smarrimento, tecnologia immersiva e persuasiva