La Mala – Banditi a Milano. Ra ta ta ta ta ta ta!


Renato Vallanzasca aveva 6 anni e giocava con i soldatini di gesso, mentre guardava altri bambini giocare con quelli di piombo. Non gli sembrava giusto. Rubò quelli di piombo.

A 8 anni insieme al suo fratellino scassinò le gabbie del circo con l’intenzione di liberare gli animali maltrattati. Perché le sbarre trasformavano anche gli animali più feroci in peluche innocui e depressi.

Il giorno dopo venne prelevato dalla polizia e portato nel carcere minorile di Beccaria, dove l’accoglienza dei piccoli detenuti lo fece sentire una star.

E’ l’inizio, forse è anche la fine, di una tra le tante storie italiane che ne compongono un’altra, più grande, che le contiene tutte e se le trascina in grembo a stento da mezzo secolo.

La Mala – Banditi a Milano è il titolo. Si tratta di una docu-serie in cinque puntate, un nuovo, terribile ma avvincente e indispensabile, salto indietro nel tempo e nella storia disgraziata di questo paese. Tra due giorni Sky e Now TV cominceranno a trasmetterla. E’ bene dirlo subito, per fugare ogni dubbio. Si tratta di una visione imperdibile.

La Mala – Banditi a Milano. Un titolo che richiama immediatamente altri due titoli (La Mala Ordina e Banditi a Milano), e poi altri ancora: film che hanno caratterizzato un’epoca, non solo quelli di Di Leo e Lizzani (il grande assente, in realtà: utilizzare un minuto del suo Banditi a Milano sarebbe costato quanto due o tre puntate della serie). Milano Rovente, Padroni della Città, Cinque Donne per l’Assassino, I Ragazzi del Massacro, Milano Calibro 9, e altri ancora. Tutti presenti nella docu-serie targata Sky e Mia Film, allo scopo di tradurre in immagini le parole dei protagonisti sopravvissuti, e rappresentare le gesta criminali di una città intera, che trascurava periferie sempre più emarginate e disagiate, sempre più serbatoio infinito di mano d’opera per la malavita più o meno organizzata. Se reclutare “personale” era facile, rapinare una banca a quei tempi lo era ancora di più. E la rapina in banca era il modo più semplice e veloce per migliorare la propria vita.

Era il 1967 quando la banda Cavallero, inseguita dalla polizia, apriva il fuoco. Fu l’entrata in scena delle armi, un ottimo punto di partenza se gli autori avessero deciso di raccontare questa storia in ordine cronologico. Ma gli sceneggiatori (Salvatore Garzillo, Chiara Battistini e Paolo Bernardelli, questi ultimi due anche registi) hanno fatto una scelta diversa e opposta, quella cioè di cominciare dalla fine. E di procedere all’inverso lungo un percorso temporale affatto rigido, che sceglie piuttosto di unire i puntini, zigzagando a proprio piacimento, per srotolare una storia che non smette mai di impigliarsi in altre storie, e che alla fine premia la scelta del caos apparente. Quel che conta è il racconto, non il suo ordine. E il racconto funziona, eccome. La storia è quella di Milano, che tra gli anni settanta e gli anni ottanta era la capitale del crimine. Milano come Chicago degli anni 30, dice Enzo Biagi.

Nel 1969 Achille Serra arriva a Milano, una città dove la vita costa cara, la malavita è onnipresente, il movimento studentesco fa parecchio rumore, e non solo rumore. Gli stipendi sono molto bassi: poco più di centomila lire, quando ce ne volevano ottanta per l’affitto di un monolocale. Nessun poliziotto sano di mente vorrebbe il trasferimento in una città così. Serra non aveva ancora compiuto 28 anni quando fu mandato, il 12 dicembre di quell’anno, a Piazza Fontana. Una telefonata anonima aveva segnalato l’esplosione di un tubo di gas, e la probabile presenza di uno o due feriti. Serra chiamò immediatamente la centrale, chiedendo cento ambulanze, ALMENO cento ambulanze. Gli risposero con tono bonario, come si fa quando ci si rivolge ad un pazzo: “sei giovane, non ti preoccupare, vedrai che si risolve tutto, adesso mandiamo il funzionario anziano”. Il triste pronostico di Serra si rivelò azzeccato.

Nel decennio che stava per cominciare, Serra si guadagnò la stima di tutti i malavitosi di Milano, che lo rispettavano come si rispetta un nemico leale con il quale tutti erano pronti a confrontarsi. (Un particolare ci ha fatto però lievemente rabbrividire: il volto disteso e sorridente di Serra che parla dei malavitosi si indurisce di colpo quando parla invece degli studenti che lanciavano le molotov contro la polizia. Ma siamo sicuramente noi quelli prevenuti. Chiudiamo la parentesi.)

“Un sabato qualunque, un sabato italiano. Il peggio sembra essere passato” cantava Sergio Caputo nel 1983.

Il peggio. Ovvero quindici anni di crimine raccontati dai tantissimi protagonisti, quelli ancora vivi perlomeno. Il controllo delle bische clandestine e dei night club, innanzitutto. Perché la Milano bene aveva paura a girare per strada la sera, e mandava i figli a studiare all’estero per tenerli al sicuro, ma non rinunciava al divertimento, al riparo delle porte chiuse, dove industriali e malavitosi ballavano e bevevano gomito a gomito, e finivano per concludere affari di ogni tipo. Poi venne la cocaina: nei primi anni 70 Cosa Nostra mette le mani su Milano, e punta subito a quello che diventerà il suo core business, ovvero il narcotraffico. Capitano cose inaudite a Milano. Capita che una pattuglia fermi un’automobile per un controllo e ci trovi dentro, tutti insieme appassionatamente, Buscetta, Provenzano, Badalamenti e Riina. Sono anni strani, con i banditi affascinanti, glamour, sbruffoni, in prima pagina, eleganti e sorridenti, inseguiti dai giornalisti come attori di Hollywood. Capita che la figlia di Bettino Craxi riceva in regalo un cucciolo di leone, e che pochi giorni dopo Craxi telefoni a Lello Liguori, il gestore di diversi night club, amico sia di Craxi che di Francis Faccia d’Angelo Turatello, chiedendogli di venire a prenderselo perché gli stava distruggendo casa.

Turatello, che il 27 novembre 1976 realizza una originalissima operazione di marketing: insieme a quattro suoi uomini, armati di fucili, pistole e bombe a mano, irrompe nel Brera Bridge Club. Intima ai giocatori di mettere soldi e gioielli in un cappello, e intanto dice: “vedete che cosa succede a venire in questi postacci? Se non volete essere rapinati dovete andare in corso Sempione, al circolo ‘Amici della pittura’”. E intanto lascia nelle mani dei giocatori spaventati una serie di biglietti da visita, perché ovviamente il circolo è suo.

Sono anche gli anni del boom dei sequestri di persona: tra il 1973 e il 1984 se ne contano 161.

Evasioni, milioni bruciati, poliziotti a libro paga della Mala, lo scandalo dei casinò, rapimenti che diventano love story, Frank Tre Dita, Franco Califano, Cossiga, le BR, Prima Linea, i NAP, il sequestro Moro, l’Aspromonte, una testa usata per giocare a pallone, Raffaele Cutolo, Luciano Liggio, una svastica d’oro, Radio Popolare, una sparatoria nell’aula bunker di un tribunale. Fino al reato più clamoroso: il furto di due mutande.

Era naturale che dopo tutto questo dovessero pioverci addosso il Tartufone, le Morositas, Ta Ta Ta Tabù anche bianco, le Crystal Ball, i pennelli Cinghiale e il Telegatto.

La Mala – Banditi a Milano dura quasi cinque ore ma va giù come un bicchierino di amaro Ramazzotti, inquadra volti divertiti e volti commossi, utilizza lo split-screen, immagini di repertorio, gli spezzoni tratti dai film di cui vi abbiamo già parlato e la musica perfetta di Yakamoto Kotzuga, nome d’arte di Giacomo Mazzucato.

Non perdetevela.

“Fui folgorato dalla luce celestiale che proveniva dall’oblò.”

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