American Honey. Ci meritiamo Andrea Arnold.


Finisce l’anno, ricchi premi e cotillons, ancora un film grandissimo in un dicembre tutto da ricordare. Avevamo lasciato Andrea Arnold qualche anno fa con Cime Tempestose e prima ancora con Fish Tank, che avrebbe dovuto intitolarsi Fish Punk, teenager sedotte e abbandonate e borghesi infoiati barely legal, una visione straordinaria della suburbia britannica, culminante in home invasion con minzione dissacrante, lei, povera ragazzina abbindolata, che libera la vescica sulla moquette del di lui trendyssimo soggiorno. La mia amica Arnold era già grande, ora è grandissima, che film ragazzi, che film. American Honey.

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E’solo la fine del mondo, di Xavier Dolan.


Lo abbiamo conosciuto tempo fa, è stato un incontro fortunato. Un incontro clandestino all’inizio, non ci vergogniamo a dirlo, ognuno guarda quello che può e che vuole, poi siamo passati alle vie ufficiali, il grande schermo, le sale più o meno comode, la cacofonia del doppiaggio in italiano. Dal primo momento è stato stupore e istinto, la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di travolgente, dove tra gli occhi e il cuore non c’era la mediazione del cervello. Visioni come fossero un’ideologia da seguire e divulgare, da qui una rassegna, anch’essa clandestina, in una parte di città liberata dalle servitù militari e riorganizzata da collettivi giovanili, entusiasti, esuberanti. Per quella rassegna il contributo libero, a copertura spese di organizzazione, fu di 2 euro, che per uno strano gioco della sorte è il prezzo che abbiamo pagato ieri l’altro, a Roma, al cinema Cinque Fontane, che sono le quattro ordinarie dell’omonima via più noi, intenti a versare lacrime copiose ininterrotte. E’solo la fine del mondo, di Xavier Dolan.

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With or without Youth. Vi meritate Paolo Sorrentino


Entrate in sala, accomodatevi, poggiate borse e borsette. Buio, inizia la proiezione. Silenziate i cellulari di ogni generazione, ma teneteli a portata di mano. Youth è la più ricca collezione di aforismi ad effetto e frasi fatte in circolazione; dovete assolutamente appuntarle sui cellulari per poter, domani, sfoggiarne qualcuna nella vostra bacheca facebook (in qualunque punto di un qualsiasi dialogo vi fermiate, ne avrete a disposizione più d’uno). A meno che una fabbrica di dolciumi alternativi non ne compri in blocco i diritti, per ricavarne i bigliettini da inserire nei prossimi concorrenti radical-chic dei baci Perugina. Come in Nymphomaniac di Von Trier, non c’è un personaggio-burattino in particolare a pronunciare le parole di Sorrentino, lo fanno tutti. Ectoplasmici alter-ego prodotti in serie, dalle fattezze diverse ma con un’unica ristretta intelligenza artificiale e artificiosa. E con esiti opposti a quelli di Lars,  caricaturali in un modo che non ha niente a che vedere con i Freaks che hanno fatto la storia del nostro cinema. Questi sono solo pupazzi assemblati.

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Capolavori assoluti del cinema: WAKE IN FRIGHT


 

Alle 13.25 del giorno 1 luglio 2014 uno dei migliori film in assoluto al mondo è ancora completamente inedito in Italia. Nel nuovo numero di Nocturno,  in edicola adesso, ve lo si conta noi com’è che andò.

BENVENUTI ALL’INFERNO

La storia di Wake In Fright, un classico del cinema australiano che fu girato nel 1971 dal regista di Rambo, concorse a Cannes per la Palma d’Oro ma fu a tal punto odiato dal suo stesso Paese che per 38 anni scomparve dalla circolazione prima di essere ritrovato su un camion diretto al macero, restaurato da Martin Scorsese e onorato nella collana Masters of Cinema dall’inglese Eureka!

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Xavier Dolan. The queer is dead ?


Ci conoscete, siamo strenui sostenitori del cinema di genere, di tutti i generi. Per lo stesso motivo, siamo fieri antagonisti del cinema sul genere, quello che antepone il marchio dell’orientamento sessuale al significato intrinseco delle opere, come se sbandierare la lotta allo stigma sociale basti a fare buoni film. Detestiamo pertanto l’autoproclamantesi cinema queer, evitiamo guardinghi i film che sguazzano nel colorato nutrissimo panorama dei queer festival.

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Nymphomaniac Volume I: listen to Führe Mich


 

Per lo spavento sono quasi scattato in piedi, suscitando l’ilarità dei miei vicini di poltrona. Mi riferisco ai primi minuti di proiezione, quando la musica fa irruzione nel film (e nel mio sistema nervoso). E’ metal, puro metal,  quanto di più lontano si possa mai immaginare dai miei gusti musicali, e ingenuamente ho pensato, per pochi secondi, “che ci azzecca sta musica, Lars?”. Poi, quando la pressione arteriosa è tornata a livelli rassicuranti, mi sono reso conto che la lingua del cantato è tedesca. Ho iniziato a pensare:

“Vuoi vedere che…”

Al mio fianco avevo un’amico appassionato di metal, infatti batteva il piede a tempo, e ho approfittato per chiedergli:

“Ma sono i Rammstein?”

Mi ha fatto cenno di si con la testa, sorridendo ed accennando un pacato headbanging. Per fortuna pacato, visto che ha i capelli lunghi fin oltre le spalle.

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[I Rammstein convivono da anni con polemiche legate alla loro presunta simpatia per l’estrema destra. Sono tedeschi e cantano in tedesco, quindi devono essere nazisti. E’ un sospetto che sorge automaticamente in chiunque li ascolti. Gli zingari rubano i bambini, iduemaròliberi, nei ristoranti cinesi cucinano scarafaggi, ai migranti africani diamo un sacco di soldi al giorno, e se canti in tedesco sei nazista.

 

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Immagini tratte da un documentario di Leni Riefenstahl inserite in un loro video, foto di copertine di dischi ambigue, fans un tantino scomodi (gli autori del massacro della Columbine): la band esiste da vent’anni, e il continuo ping-pong di accuse e smentite li ha accompagnati fin dal 1993. Forse ha anche giovato alla loro carriera.

I loro concerti sono carichi di cabaret, spettacoli pirotecnici con il fuoco come elemento costante, e divise ed atteggiamenti militareschi: per i fans è sicuramente uno show esaltante.

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Col passare degli anni, nei loro spettacoli è aumentato a dismisura l’aspetto grottesco e comico: rapporti omosessuali inscenati sul palco, un calderone in cui uno dei membri del gruppo viene cucinato, un canotto nel quale “navigano” sulle teste dei fans. Ai Rammstein piace provocare, questo è certo.]

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In quel preciso momento Lars, ancora una volta, mi ha conquistato. E’ come se avessi visto, nel sorriso del mio amico metallaro, il ghigno beffardo e malato del regista, in faccia ai Farisei della Croisette che lo oltraggiarono con la nefanda accusa di antisemitismo. Piazzare i Rammstein ad inizio film equivale a  presentarsi a Berlino con la t-shirt  “Persona Non Grata”. Lars gode a farle, ‘ste cose. E io applaudo.

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Du bist mir ans Herz gewachsen
Wenn ich blute hast du Schmerzen
Wir müssen uns kennen
Ein Körper, zwei Namen
Nichts kann uns trennen
Ein Zweilaib im Samen

(Mi sei cresciuta nel cuore
Quando sanguino, tu hai i dolori
Dobbiamo conoscerci
Un corpo, due nomi
Niente può separarci
Una doppia forma nel seme).

 

 

 

 

Solo un’illusione


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Behind The Candelabra

Steven Soderbergh

2013

Behind The Candelabra, passato a Cannes sotto colpevole silenzio, è il cinema come piace a Dikotomiko: una storia bellissima, magistralmente raccontata attraverso corpi musica ed immagini. Un prezioso, inaspettato tassello per comprendere quel brulicante mosaico di lustrini, pailettes e virus che sono stati gli anni 80.

Una storia bellissima è sempre una storia d’amore, amore per qualcuno o qualcosa, ed una storia d’amore funziona solo se c’è magia, “chimica”, tra le parti. Qui ad amarsi sono Michael Douglas e Matt Damon totally omosex: una pop star del pianoforte ed il suo toy boy, splendidi nel mostrarsi veri in quanto grotteschi, innamorati in quanto abbandonati, uniti in quanto diversi.

La storia di questo amore  è la storia della mutazione e della metamorfosi dei corpi, tra tupè, chirurgia plastica pulp, diete estreme e devastazione da addiction/infection.

La luce tungstenica di migliaia di lampadari (candelabra) illumina un palco dove vite amaramente gaie si consumano, tra ville surreali, gioielli fuori scala, egotismi incontrollatii, al suono di un piano(forte)folle.

Soderbergh è un padre, ci prende per mano e ci accompagna in questo viaggio dalla nascita alla morte degli anni 80, dal glitter all’hiv, cercando solo, con Liberace, con Scott, di essere felice, e di renderci felici.

That’s Amore.

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