Se nelle pagine di Nocturno fossimo costretti a fare un nome solo, tra i registi della new wave coreana, quel nome sarebbe proprio Kim Jee-woon: è lui il più devoto al cinema di genere. Ai generi. Tanto che, per sua stessa ammissione, finora ha sempre scelto un genere da trattare prima di iniziare a scrivere ogni sua sceneggiatura. Per poi, già durante la stesura e più ancora sul set, spingere tale genere all’estremo e nel contempo mescolandolo con altri. Esattamente vent’anni fa Kim inviava una delle sue prime sceneggiature ad un concorso, vincendolo. Lo script era quello di A Quiet Family, che un anno più tardi diventò il suo primo film. Si trovò al posto giusto nel momento giusto: la crisi economica aveva rallentato, se non bloccato, gli investimenti nel settore da parte di colossi come Samsung e Daewoo, lasciando campo libero a capitalisti di ventura pronti a produrre un discreto numero di film all’anno, anche a registi non affermati com’era Kim. Grazie, crisi.
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L’ultraviolenza ai tempi dell’Internet
Dall’Indonesia arriva Killers. Dirigono i Mo Brothers, fratelli di fatto non di nome, registi virtuosi e pazzerelli con la fama di essere molto molto cattivi. Produce Gareth Evans, grande amico dei due (episodio Safe Heaven di V/H/S/2), un po’ come Quentin Tarantino che è inspiegabilmente grande amico di Eli Roth.
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No country for young men
Perchè i revenge-movie coreani sono i migliori al mondo? A causa della dittatura, terminata da meno di trent’anni? O della presenza militare statunitense, che li ha “liberati” dal colonialismo giapponese? O del conflitto Nord/Sud? Mettiamoci anche una frustrazione neanche tanto strisciante,causata dalla esasperante competizione sociale e scolastica.
Questi elementi contribuiscono certamente tutti ad alimentare le esplosioni di violenza, magnificamente furiose, che impreziosiscono i nostri film preferiti. C’è troppa rabbia in Corea, rabbia repressa troppo a lungo. Continua a leggere
Le larghe intese
New world
Park Hoon Jung
2013
Scena numero uno: Garage sotterraneo. Assalto all’arma bianca, folle esplosione di violenza di massa. Ferocia senza limiti, ossa frantumate in serie.
La minaccia Coreana
Kim Ji Woon (regista di pellicole più che buone, ma soprattutto del più violento film di “vendetta” della storia del cinema, I saw the devil) è stato chiamato a Hollywood per dirigere un action con.. ehm.. Arnold Schwarzenegger. L’ex governatore non sembra più un fascista law and order, ma piuttosto ricorda Meat Loaf in Fight club. Insomma è simpatico. Questo è uno dei pregi di un film dignitoso, e anche molto divertente. Perchè Kim è un ottimo regista, che realizza i film che gli si chiede di realizzare. Con classe.
Vedremo presto cosa sarà in grado di fare Bong Joon Ho (responsabile di due capolavori-o-poco-ci-manca come The Host e Memories of Murder) alle prese con la graphic novel Snowpiercer. Dikotomiko è mooolto fiducioso.
Ma Hollywood ha chiamato anche Park Chan Wook, assegnandogli il compito di girare quello che per sceneggiatori e produttori era semplicemente uno psycothriller alla Hitchcock. Immagino il maestro Park accettare con i suoi modi pacati ed il sorriso rassicurante da gentiluomo. Poi, una volta dentro, ha fagocitato Hollywood in poco più di un mese di riprese.
L’unica differenza tra Stoker e le sue opere precedenti è la presenza di protagonisti statunitensi, ridotti ovviamente a tre fantasmi di ghiaccio, evanescenti tessere di un perfetto puzzle dal fascino abbagliante (e morboso).
L’occhio di Park è il protagonista assoluto, dal prologo fulminante ai titoli di coda che scorrono al contrario, di questa inquieta ed elegantissima messa in scena di una storia di (de)formazione.
Così, dopo Joint security area, Lady vendetta, Old boy, Thirst, I’m a cyborg but that’s ok, anche per Stoker è obbligatoria la seconda visione, e forse la terza. Nella filmografia di Park Chan Wook la parola capolavoro ricorre troppo spesso, perchè probabilmente è arrivato il momento di nominarlo Miglior Cineasta Vivente.