Joe Lansdale va al cinema


A ciascuno il suo, dicotomicamente parlando: Stephen King è letteratura, Joe Lansdale è narrativa di consumo. Lunga vita al Re ed ai suoi capolavori, che in vertiginosa successione marchiarono la mia tremebonda adolescenza, introiettati in 32 mesi e non di più: cujo carrie christine la macchina infernale le notti di salem shining misery ossessione unico indizio la luna piena la lunga marcia a volte ritornano la zona morta scheletri l’ombra dello scorpione pet sematary l’incendiaria gli occhi del drago le creature del buio e poi stop. Invece, Lansdale. Fu una piacevole scoperta dell’età adulta, compresi che l’autore era validissimo ma senza i segni del genio, per altri valeva la pena avere imparato a leggere. E’ che costui ed il Re affondano le radici nella palude limacciosa degli anni 80, ma mentre King ha messo piedi e mani nude in quella melma ignota pescandone creature mostruose, incubi e deliri che sono gli Stati Uniti e sono questo schizoide Occidente dell’oggi, l’altro  ha calzato stivali e guanti, attento a calcare  percorsi già tracciati con eleganza e leggerezza, senza avventurarsi in antri incogniti. E anche la Notte del drive-in, il suo capolavoro, sfuma allegramente nell’eco di parole già vissute.

Cold in July è un suo romanzo che non avevo letto, ora film grazie a Jim Stake Land Mickle, regista dell’avanguardia indie horror americano, con una marcia in più rispetto ad altri più celebrati come Larry Fessenden ed Adam Wingard.

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