Sorry we missed you. Ken Loach tolo tolo contro tutti


Lui e lei a letto, alla fine di una giornata durissima. Come tutte le altre giornate. Un bacio, il corpo di lui si avvicina. E lei: “no, non me la sento. Potrei piangere per una settimana”.

Potrei piangere per una settimana.

Potrei piangere per una settimana.

La negazione volontaria del piacere, la disumanizzazione più estrema e disperata, la paura di provare un attimo di gioia perché scatenerebbe una cascata inarrestabile di emozioni. La tristezza. Un momento di cinema insostenibile, di intensità pari ad un altro frammento che Ken Loach aveva già messo in scena nel suo film precedente, sbattendoci davanti agli occhi gli effetti della fame, quella vera, che fa perdere ogni inibizione e autocontrollo, su una madre. Una madre col cuore pieno d’amore e la pancia vuota.

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Io, Daniel Blake. Lui, Ken Loach: rage against the machine


Un cinema normale, di quelli con una sala e un film in programmazione. Più o meno quaranta persone sedute sulle poltrone e la sorprendente realizzazione – mia, a fine pellicola – che è ancora possibile andare al cinema, senza incazzarsi come una bestia schiumante per il comportamento incivile della platea. Silenzio totale per tutta la durata del film, nessun telefono che squilla, niente. Solo attenzione e rispetto. Per il cinema e per il film, chè sul grande schermo si proietta I, Daniel Blake. Palma d’Oro a Cannes e ottantesimo compleanno superato indenne, Ken Loach aveva deciso di smettere dopo Jimmy’s Hall. Ci ha ripensato, grazie al dio del cinema e a quello della lotta continua. Era legittimo temere un film leggero, didascalico, almeno in parte pacificato.

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Col cazzo. Ken il guerriero è più incazzato che mai, o almeno è tanto incazzato quanto lo era cinquant’anni fa.

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Ken il guerriero


Nella hall di Jimmy si balla, si ascolta musica, si insegna a cucire e a tirare di boxe, e si parla di politica. Gratis. La hall, che era un’edificio abbandonato, è stata riportata in vita dai suoi stessi frequentatori, è aperta a tutti ed è malvista da padroni, dai fascisti e dalla chiesa. E dall’IRA. Vi ricorda qualcosa? Esatto, la hall di Jimmy è praticamente un centro sociale occupato ed autogestito, in Irlanda. Poco meno di cento anni fa.

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Uomo d’acciaio. E di piombo


Out of the furnace

Scott Cooper

2013

Eccolo, finalmente! Il mio veglione, la mia festa di inizio anno. La prima bottiglia stappata ululando e sorridendo, felice. Il primo film del 2014 a scuotermi le viscere.

Perchè dove ci sono losers e blue collar heroes, dove gli americani contano più dell’America nonostante le tasche vuote, il non-cuore di Dikotomiko si scioglie. E’ un cuore antico, che sotto la scorza iconoclasta nasconde una passione sfrenata per le vicende classiche come questa, una storia raccontata cento volte, che chiede di essere raccontata altre cento. Continua a leggere

Ken’s Legacy


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Sightseers

Ben Wheatley

2012

Il padre del cinema inglese di questi anni è Ken Loach.

Ovvio, direte voi.

Straordinario, dico io. E vi spiego perché.

Il padre è diverso dal maestro, anche se nel caso di chi vi scrive, avendo, chi vi scrive, un figlio in età pedagogica, l’anelito alla fusione perfetta tra le due figure è sempre chimericamente vivo.

Padre è colui che feconda con il suo seme, maestro è colui che sa e insegna.

Ken Loach è padre, perché tutto il suo cinema, così manifestamente Rosso, proletario, incazzato, ha generato una figliolanza di registi transgender (nel senso di genere filmico, of course) che di Rosso hanno conservato primariamente  il colore del sangue.

Già, amici miei, senza il seme di Ken Loach non avrebbe visto la luce Shane Meadows (Dead Man’s Shoes), senza il suo impeto procreativo non ci sarebbe James Watkins (Eden Lake). Nemmeno Paul Williams (From London to Brighton), vagirebbe sui nostri video. Così Andrea Arnold (Fish Tank), o Cristopher Smith (Triangle).

Convinti?

Rispondete allora, per inverso, a questa domanda su un altro regista inglese, Danny Boyle: è maestro o padre ?

Ora che avete finalmente capito, analizziamo i geni virtuosi contenuti nel DNA del padre, trasmessI quindi ai di lui figli: sangue rosso fuoco, prima di tutto, e poi periferie deindustrializzate, edilizia polare monolitica megalitica, highlands, automobili di fabbricazione nazionale, grigio verde e sbiadito blu. Umanità balorda, disagio sociale, schizofrenia. Cinsimo, ironia, solidarietà.

Ora avete tutti gli elementi per gustarvi fino in fondo questo perturbante Sightseers: balordi on the road con roulotte, stragi in paesaggi druidici, dialoghi al curaro, colpi di scena brutali ed esilaranti.

Il film è una rivelazione, ed è di Ben Wheatley , che in Kill List mostrava a Park Chan Wook la maestria europea nell’uso del  martello.

Chissà se Ken ha figli illegittimi somewhere, in Italy.

Io penso di no