Jason Reitman, puntini puntini


La grande illusione è che il triplo doppio vu spalanchi le porte dell’infinito. Troppo ottimistico in effetti, al più serve a migliorare la conoscenza dell’ignoto, rendendo visibili ma non tangibili corpi solidi liquidi gassosi. L’immagine può essere il primo passo verso il soddisfacimento di un bisogno, e l’Internet è questo, un mezzo non di comunicazione, ma di soddisfazione di bisogni. In tale funzione d’uso viene adoperata dal popolo della Rete, che prima d’essere profilato per età o razza o genere è suddiviso in gruppi più o meno omogenei di bisogni, donde le categorie di ricerca. Poi arriva Jason Reitman, uno che guarda l’America e punge parecchio; sposta l’attenzione più avanti, dal www al puntino, e dentro quel puntino ci vede tutto il mondo composto da microscopici pigmenti dinamici, infinitamente piccolo pallido e blu. Il mondo, the pale blue dot.

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Un consiglio da amico a Corrado Guzzanti


Il cuore di un uomo è più duro della pietra. Ogni uomo coltiva i propri affetti come può e ha cura delle creature che ama. Io amo Corrado Guzzanti, sono cresciuto grazie a lui, invecchiato con lui, mi ha riscaldato l’animo e i pensieri nel freddo glaciale dello squallore del mio Paese. E’ dall’alto di questo sentimento così limpido che posso esprimere il mio sdegno, tutto il mio disappunto dinanzi alla inutile visione cui mi sono incautamente sottoposto, Ogni Maledetto Natale, con Corrado Guzzanti.

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Sabotage, ancora un ritorno del mio amico Arnold


Prologo: stanco, sofferente, sconfitto, un vecchio guarda il monitor di un pc, scorrono le immagini di sua moglie che viene giustiziata mentre lui, impotente da remoto, ha le mani e gli occhi legati. Sembrerebbe l’inizio del milleunmillesimo revenge movies, non fosse che il pensionato inane è Arnold Schwarzenegger nel pieno sfiorire della sua seconda vita cinematografica. Il film è Sabotage e non è un revenge movie classico, perché Schwarzy ha già vendicato tutto il vendicabile umano e sovrumano; non è nemmeno un action movie,è un b-noir brutto sporco e cattivo, un videogioco inteso come gioco-da-guardare, dove tutto si muove ma l’azione diretta del protagonista non c’è o è fuori campo, quello che succede è lontano da lui, che è attore-regista occulto che eteroinduce, mentre tutti gli altri personaggi sono mere macchine da scena che si sbronzano e cercano e sparano e tradiscono e si ammazzano.

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Jauja, Patagonian Interstellar


Di Ernesto Che Guevara, Paco Ignacio Taibo II scriveva che fu l’ultimo grande eroe a cavallo, ricordato così in decine di ballate e filastrocche e canzoni alla memoria. Si sbagliava di poco, perché dopo il Che venne il subcomandante Marcos incappucciato sul suo destriero, migliaia e migliaia i pupazzetti venduti, per la rivoluzione romantica quanto incompiuta degli zapatisti. Tutto questo per dirvi che Viggo Mortensen è l’ultimo grande attore equestre europeo, in quanto, se si eccettua la Santa Trinità americana Clint Eastwood-Ed Harris-Tommy Lee Jones, non esistono oggi altri memorabili cavalieri. Viggo c’è, dal Signore degli Anelli ad Hidalgo, dove adoperò il suo personale cavallo, attraverso Alatriste e Appaloosa per arrivare a questo Jauja, western dell’inconscio, emozionale, esperienziale.

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Predestination. A spasso nel tempo con Ethan Hawke.


E’ tutta una questione di tempo, anche lo spazio. Interstellar lo ha urlato forte e chiaro, si tratta sempre dell’uomo e della memoria, che è una possibilità di comunicare attraverso una certa visione del passato. Personalmente sono un seguace di Roberta Sparrow e della sua Filosofia dei Viaggi del Tempo, credo cioè che il tema necessiti di un approccio concettuale e non scientifico.

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Pan, Demonium.


Corna di capro, corpo peloso, zampe a zoccoli, fiato tremendo puteolente di zolfo, alcol, muffa e secrezioni assortite.  E’ Pan, anche noto come dio Fauno, satiro saltellante, priapo copulante, menestrello zufolante nel proprio flauto e danzante e libante. Da duemila anni il caro nostro è ridotto ad un satanello qualsiasi, demonizzato da tutti sti farisei torvi neri in abito talare, ha lasciato le campagne e i campi aviti per sprofondare tra le fiamme e la dannazione, ma dategli una femmina, fategli sentire anche solo l’odore, e quello tornerà ad essere l’incontenibile inseminatore che amiamo. E ora, At The Devil’s Door, di Nicholas McCarthy, 2014.

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Life after Beth, il primo zombie kippah movie


Gli Ebrei non fanno autopsie, non asportano organi ai morti né imbalsamano salme. Quando verrà la fine del mondo, i defunti ebrei saranno i primi a ritornare e pure in gran forma, perché si saranno conservati meglio, senza mutilazioni o recisioni di rilievo. Lo dice un ebreo, Jeff Baena, il regista di questo esilarante Life after Beth, gioco di parole su Life after death, che porta gli zombie nei luoghi e nelle case della comunità ebraica nella suburbia americana.

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