Sicario, Soldado, Sollima. Adesso vi faccio vedere come gira un italiano.


Sgombrate il campo da dubbi e perplessità: Sollima ce l’ha fatta! Il suo Sicario: Day of Soldado è il film dell’anno, di più, è una pietra miliare per l’action del nuovo millennio. Non è blasfemo ricorrere a paragoni illustrissimi: guardatelo pensando al Fury Road di George Miller, al Fury di David Ayer, a Patriots Day di Peter Berg. Anche, se ne siete capaci, al 13 Hours: the Secret Soldiers of Benghazi di Michael Bay, o alle missioni impossibili di Chris McQuarrie. Il livello è questo, è altissimo e prestigioso, e l’importanza dell’opera sovrasta gli esiti al box office internazionale. Ad oggi, Soldado ha infatti incassato 75 mln di dollari in giro per il mondo, a fronte di un budget di produzione di 25 milioni. Bene, ma non benissimo, con il peso di alcune critiche d’oltreoceano marcatamente e pregiudizialmente negative. I risultati sono comunque in linea con quelli del primo capitolo del franchise, il Soldado di Villeneuve, che a fine corsa nelle sale mondiali realizzò un totale di 85 mln di dollari, a fronte di un budget più cospicuo (30 milioni).

 

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Suburra. Ci meritiamo Stefano Sollima


Lo sapevamo già, siamo andati al cinema come metallari adoranti ad un Monsters of Rock. Lo sapevamo già, ma non eravamo preparati a tanta audacia, tanta potenza ininterrotta e irrimediabilmente oscura. Ora, dopo due ore di questa pioggia di lame, proiettili, sangue, fango, liquami, dopo tutto questo squallore disgraziato e di questi uomini miserabili un dubbio feroce ci assale, che la visione sia incapace di educare le masse, che sia puro e sterile compiacimento solo per noi che già lo sapevamo, noi conformisti avvezzi a guardare l’inferno senza fare una piega, assuefatti a livelli variabili di tossicodipendenza, morbosamente esaltati dal putrìo in quanto stanchi di essere indignati. L’ironia per noi è oramai una scatola vuota, del cinismo conosciamo tutte le sfumature, l’Apocalisse al cinema è la sola modalità di rivoluzione che tolleriamo. Pensiamo tutto questo, poi ci ricordiamo che Suburra è solo un film, un grande film, e i nostri dubbi si trasformano in entusiasmo bimbo, si fottano le masse.

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Sicario, di Denis Villeneuve


Diciannove anni fa mi trovavo a Roma, nella sede direzionale di un prestigioso istituto di credito, per la prima lezione di un master avanzato in finanza internazionale. Il professore era un docente universitario, piemontese ascendente pugliese, liberale, liberista e progressista, con un’ostilità congenita al fariseismo ed alle mezze misure. Nello stupore generale, costui cominciò a parlare delle lobby finanziarie più potenti del pianeta, sciorinando una serie di slide in cui comparivano foto e organigrammi dei board, in modo che noi, poveri ignari guasconi post lauream, vedessimo la presenza in proporzione costante degli italo-americani, degli ebrei, dei sudamericani, degli arabi ivi elencati. Analizzando la composizione di queste organizzazioni legali e yes profit, diceva, si può risalire alle organizzazioni criminali che le generano e che detengono l’economia mondiale, e questo perché nel crimine non vale il principio della competizione, ma della cooperazione, tutti devono avere una fetta di torta, win win no war. Che fosse subdolamente razzista, evoluzionisticamente lombrosiano o illuminato non so, fatto sta che questo professore cambiò per sempre il mio modo di vedere le cose. Sicario, di Denis Villeneuve.

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Narcos, la serie tv che porta Netflix sulla pista giusta


Secondo Forbes, Medellin si piazza al settimo posto tra i posti migliori del mondo per svernare in tranquillità: «Al pari di Istanbul e della malese George Town, Medellin è una delle migliori città dove vivere con pochi soldi. Una corsa media in taxi costa 2,5 dollari, le infrastrutture sono a standard occidentali, così anche le attività per il tempo libero». La stessa Forbes, nel 1987, inseriva  Pablo Gaviria Escobar al settimo posto tra gli uomini più ricchi del pianeta, e Pablo ufficialmente possedeva una compagnia di taxi, che doveva camuffare i miliardi di dollari dei proventi delle sue polverose attività. Giugno 2014, quarti di finale dei Mondiali di calcio, stadio Maracana di Rio de Janeiro,  Brasile contro  Colombia. Al minuto 88 Zuniga, terzino colombiano dal collo taurino e dai modi brutali, affronta da tergo la stellina verde-oro Neymar, assestandogli una ginocchiata che gli spezzerà le reni invalidandolo per i mesi a venire. Da quel giorno nulla è stato più come prima tra Brasiliani e Colombiani. Nel settembre 2014 il carioca Josè Padilha comincia la riprese di Narcos, serie tv sull’ascesa e la caduta di Escobar prodotta dai gringos maldidos di Gaumont per Netflix. Il capo dei capi è impersonato da Wagner Moura, il più grande attore brasiliano vivente, a digiuno di lingua spagnola prima di allora. Wagner è ingrassato più di 20 chili e ha cambiato modo di camminare e di parlare pur di interpretare Escobar, ciò non lo ha salvato dalla pletora di critiche sulla sua pronuncia, alcuni addirittura giurano di aver letto più volte dal suo labiale un «Zuniga hijo de puta».

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¡Dispara Salamanca, dispara…!


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Profugos

Pablo Larraìn & Johnathan Jacubowicz

2011

La cocaina rende molto più della rivoluzione. E ti toglie meno, molto meno. Probabilmente è proprio il passato da rivoluzionario ad aver prosciugato l’anima e il cuore di Oscar Salamanca. Restava poco da togliergli.  Un fantasma che sputa sangue e tossisce violentemente, malato terminale. Capelli lunghi, barba lunga, occhi di ghiaccio e, da qualche parte nel Cile,  una figlia adolescente che è tutto quello che di umano gli resta.

Io voglio bene a Salamanca. Voglio bene a questo relitto che aveva sogni ed ideali più grandi di lui, e si ritrova a trafficare cocaina con la faccia imbronciata e la pistola sempre in pugno. Sa che la morte cavalca al suo fianco e ha imparato a conviverci. Ogni tanto il tristo mietitore gli manda un sms, e Oscar si chiude in bagno a sputare sangue e ad aspettare che passi.

I suoi sguardi carichi di odio rivolti a Moreno, Moreno che infierisce sui corpi dei narco-traditori con la stessa ferocia e precisione da macellaio che usava quando i corpi erano dei compagni di Salamanca. Tormento continuo, tanto incessante da diventare un accessorio, un pendaglio da portare appeso al collo, dal peso facilmente sopportabile e di minimo ingombro.

L’anima di Salamanca respira quando il suo corpo corre a perdifiato, inseguito da sbirri o narcos che vogliono ucciderlo. Oscar vive quando rischia di morire, si sente libero quando una pallottola lo sfiora, è se stesso quando copre la fuga di un suo compagno di sventura.

Oscar Salamanca e Dikotomiko sono amici, passano ore ed ore seduti in veranda a fumare e scacciare zanzare. Parlano poco, sputano e quando il disco di Camila Moreno arriva alla fine del lato A, nessuno dei due vuole alzarsi per mettere il lato B..

Messico e Tumuli


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El Infierno

Luis Estrada

 2010

Così, mentre penso all’ultimo Malick, mi induco reminiscenze da Upstream Color, vagheggio biopost su Gael Garcia Bernal, 7 colpi di pistola mi crivellano la mente, e decido di parlarvi del Messico.

La nueva ola mexicana segna oramai il passo, Inarritu si è scazzato con Arriaga a tutto discapito dei film di entrambi, Cuaron è lontano e silente (Arbus, Silente) dopo aver girato un Harry Potter, Del Toro (Guillermo) è il solito ipertrofico nella coltivazione in vitro di esegeti (Mama non è malvagio, cioè sì, Mama è malvagia in quanto fantasma, perché non riesce a trovare il figlio naturale, ma il film, Mama, non è malvagio).

Più a fondo, Reygadas ha lasciato nella pietra indelebili tracce paleolitiche, mentre lui, il re mariachi, il grandissimo Robert Rodriguez imperversa worldwide a colpi di Machete (Machete Mata, Settembre 2013)

Nel frattempo, somewhere in Mexico, anzi, everywhere in Mexico, i narcos continuano a scannarsi in un delirante crescendo di teatralità che nemmeno l’Apocalisse: cadaveri impiccati ai ponti, teste impalate ai bordi delle strade, massacri all’arma bianca di uomini donne bambini, tutto debitamente filmato o fotografato. Il web guarda, inorridisce e ringrazia.

Ommariasantissima, anzi, santissima Virgen De Guadalupe, esiste film imprescindibile sul tema ?

Seguro, se llama El Infierno !

Si parte da uno sfigato che tenta la fortuna nel paese dei gringos, ma le cose gli vanno storte e torna al paesello, povero e ancora più sfigato, per scoprire che il fratello minore, votatosi alla narcocausa, è morto ammazzato trucidato, non prima di aver impalmato e fecondato una prostituta oggettivamente bona. Così giura vendetta e diventa narcos anch’egli, iniziato alla causa dal suo migliore amico di infanzia, picciotto arricchitosi con lavori di truculenta macelleria messicana (no, non al G8 di Genova) .

Il decollo del film è verticale: (tanta) commedia, splatter, gangster movie, grottesco, analisi sociale, tradimento scespiriano.

Fatalismo.

Tutti noi sappiamo, ahimè, di dovere morire, ma in Messico sanno anche che andranno all’Infierno, senza redenzione, e allora va bene, occorre mucho, mucho dinero, perché quello che resterà nel polverosissimo cimitero di quello sperduto bucodiculo di paese, è una tomba full optional, in marmo bianco, con pensilina, scala monumentale ed impianto stereo dolby surround, perché tutti sentano quanto era stato ricco e potente el muerto.

Olè.