Pagliaccio triste come me, ah ah. Ho cortocircuitato la visione e adesso sono a ricomporre emotivamente i due tronconi. A posteriori, ancora non comprendo per quali ragioni un’opera sia stata così orribilmente, e superfluamente, tranciata. Il movente commerciale mi sembra flebile, anche se trovare al multisala due film di Sorrentino, uno propedeutico all’altro, può essere un sogno ad occhi aperti per alcuni spettatori, un incubo ad occhi chiusi per altri. Non parliamo, peraltro, di esigenze dovute a tempi di percorrenza prolungati, dal momento che sommando i due addendi si ottiene una durata appena superiore all’ultimo (magari fosse l’ultimo) Avengers. Com’è, come non è, qui vi parlo di Loro 2, che brilla di luce propria, alla luce di Loro 1.
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Loro 1, di Paolo Sorrentino. Una lettura tramontista
Ho un rapporto personale con Silvio Berlusconi, come del resto tutti gli Italiani. Intendo cioè che per me Berlusconi è simbolo, chiave di lettura, totem, babau. Non un succedaneo della figura paterna, ma la personificazione di un mondo, di un modo di stare al mondo, che io posso guardare dal di fuori perché mi è alieno. Guardare per credere? No, guardare per giudicare. E’ tutta colpa di Berlusconi. La recessione perenne, i rifiuti, Maria De Filippi, Barbara D’Urso, la fine della lotta di classe, la barbarie, l’analfabetismo funzionale, il razzismo, la droga. E’ colpa di Berlusconi. L’italianità più becera. E’ colpa di Berlusconi. E’ tutta colpa di Berlusconi. Oh sì fratelli, potete starne certi. Poi arriva Sorrentino, e mi spalanca le porte della percezione, costringendomi alla chiamata in correità. Loro 1.
With or without Youth. Vi meritate Paolo Sorrentino
Entrate in sala, accomodatevi, poggiate borse e borsette. Buio, inizia la proiezione. Silenziate i cellulari di ogni generazione, ma teneteli a portata di mano. Youth è la più ricca collezione di aforismi ad effetto e frasi fatte in circolazione; dovete assolutamente appuntarle sui cellulari per poter, domani, sfoggiarne qualcuna nella vostra bacheca facebook (in qualunque punto di un qualsiasi dialogo vi fermiate, ne avrete a disposizione più d’uno). A meno che una fabbrica di dolciumi alternativi non ne compri in blocco i diritti, per ricavarne i bigliettini da inserire nei prossimi concorrenti radical-chic dei baci Perugina. Come in Nymphomaniac di Von Trier, non c’è un personaggio-burattino in particolare a pronunciare le parole di Sorrentino, lo fanno tutti. Ectoplasmici alter-ego prodotti in serie, dalle fattezze diverse ma con un’unica ristretta intelligenza artificiale e artificiosa. E con esiti opposti a quelli di Lars, caricaturali in un modo che non ha niente a che vedere con i Freaks che hanno fatto la storia del nostro cinema. Questi sono solo pupazzi assemblati.
Viaggio al termine della notte dei morti viventi
La Grande Bellezza
2013
Siamo ancora storditi dall’opera di Sorrentino, e forse dovremmo aspettare a scriverne, in attesa che si posino le immagini, si metabolizzino i dialoghi, si sedimentino i ricordi, ma l’impulso è urgente, dobbiamo andare avanti e lo facciamo alla nostra maniera.
Sorrentino è un grandissimo, elargisce a noi, immeritevoli e ingrati, una celebrazione di 140 minuti, e noi palpitiamo per tutti questi minuti, anche Quentin ci ha recentemente offerto un’Opera superiore alla durata canonica, e anche lì palpitazioni e eyes wide shut.
Sorrentino prescinde da Fellini, smettiamola di accostare la Grande Bellezza alla Dolce Vita, perché la reminiscenza è differente dalla citazione, e ciò che fa parte dell’immaginario collettivo è cultura, non è tributo.
Sorrentino è altro da Garrone, ma entrambi sono necessari, sono Cinema che suppura da piaghe putrescenti e si libbra rarefatto verso l’universale.
Sorrentino è autoritario, ci mostra la via per guardare, nell’incipit dell’Opera scolpisce le parole di Celine, la sofferenza dell’immaginazione di Celine, ci prende per mano nel suo viaggio al termine della notte, rimettendo i suoi debiti ad un padre negletto del Novecento. Poi, durante il viaggio, ci abbandona, e l’amore (non corrisposto) per la vita di Celine lascia il posto all’epifania dell’orrore di Konrad, solo che alla fine del fiume non c’è il colonnello Kurtz, ma una suora avvizzita che striscia larvale su una scala santa. Konrad dopo Celine, perché Sorrentino non guarda l’anelito vitale, ma il disfacimento, la morte, pietoso e indulgente verso le menzogne che ciascuno, morto vivente, si/ci racconta nel suo peregrinare.
Sorrentino è politico, tumula le velleità artistiche e ideologiche di un comunismo da postribolo e ammanetta, materialmente, i grigi vampiri che dissanguano il Paese.
Sorrentino è imperfetto, ci lascia inquieti e disturbati da tanti interrogativi, tra la giovinezza condannata e disperata, il caleidoscopio di maschere che sono cornice e paesaggio del viaggio, la scissione prismatica di personaggi che si sdoppiano e si quadruplicano, la livella della napoletanità per capire le salme della romanità.
Sorrentino è audace, la sua opera è un delirio visivo magistrale e necessario, possiamo comprenderlo perché è lui a permettercelo.
E poi, l’esplosione carnascialesca del baccanale.
E poi, la perfezione onirica delle rovine e dei palazzi.
E poi, Nostro Signore del Botox.
E poi …
“…E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”
La grande bellezza
2013
Con Reality, Garrone puntava il dito contro la putrefazione televisiva dei nostri consumi bisogni e desideri. Ma era un dito saccente, antipatico, che si preoccupava di mantenersi un gradino più in alto e a mezzo metro di distanza di sicurezza dai falliti poveracci e ignoranti verso i quali era diretto. O almeno, questo è ciò che ha visto il mio modesto terzo occhio.
Paolo Sorrentino invece quel dito lo infila nel culo collettivo del mostruoso circo di freaks che popola le feste della Roma ricca e cafona (un campionario umano che ingloba scrittori radical chic, attori falliti, produttori allupati, imprenditori viscidi, tutte le tipologie di troie esistenti, cardinali, politici ecc..) e lo spinge nel profondo delle sue luride viscere, tirandosi addosso i corpi truccati sudati pompati patchworkizzati e soprattutto stanchi, dei quali l’immensa Serena Grandi è l’archetipo. Sorrentino li abbraccia tutti, si sporca le mani, li trascina e ce li scaraventa addosso (a tratti ho provato un disturbo compiaciuto pari a quello provocato dalla visione di Society del buon Brian Yuzna). Lo fa con classe da esteta superbo. Noi ridiamo, certo, ma sono risate disturbate dall’angoscia.
Perchè in realtà il dito di Sorrentino, sensazione che è andata crescendo man mano che i minuti passavano, è nel mio culo che si è infilato, scavando e arrivando a toccare e rivelare lo stesso ed identico NULLA celato nei corpi sullo schermo, che si affannavano in ogni grottesca maniera a cercare di riempirselo. Inutilmente. Perchè la Grande bellezza la si vede, la si coglie, la si vive per attimi brevissimi. E tra un attimo e l’altro possono passare decenni di NULLA, NIENTE, ZERO. Che vita di merda.. :)