Tutti ai vostri posti, allacciate le cinture. Allacciate anche le corde, le manette, le catene. Lucidate le borchie, saggiate le guarnizioni, sterilizzate i giocattoloni. Last but not least, verificate le vostre riserve di lubrificante, e tenete le tute in lattice a portata di mano, questo dossier è una questione delicata. Una questione di fetish. Vi confesso che l’argomento presenta per me delle difficoltà, che non sono indotte dal pudore o da particolari pruderie, ma dall’esigenza di circoscrivere una materia così eterogenea al campo filmico. Impresa davvero ardua, perché il fetish è espressione di un gusto personale, particolare in quanto soggettivo, nella vulgata è spesso associato alla perversione, e qui la faccenda si complica, il termine perversione implica un giudizio morale, e noi che siamo cinefili, quindi guardoni per antonomasia, quindi feticisti, non abbiamo voglia né facoltà di tirare la prima pietra. Facciamo così allora, diciamo che ci interessa tutto ciò che è fetish ma non è parafilìa, tutto ciò che comporta esibizione di una pratica sociale, un gioco di ruolo e dei ruoli, e come è stato rappresentato sul grande schermo.
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Maraviglioso Boccaccio in dvd
I fratelli Taviani, 170 anni in due: ovvero le persone giuste per trarre un film dal Decamerone di Boccaccio che non sia l’ennesima commedia assurda e licenziosa. La lista è lunga, paradossalmente e involontariamente inaugurata da Pasolini nel 1971, che ha tracciato un solco in cui si sono riversati fiumi di filmetti erotici strampalati. La coppia di arzilli registi va prevedibilmente in senso opposto, e il sesso è solo una delle componenti della loro messa in scena, più a livello verbale e immaginifico che visivo: nelle cinque novelle tramutate in pellicola, l’amore e la morte scorrono onnipresenti anche se i toni sono puliti, luminosi e coloratissimi.
Non Essere Cattivo. Devi essere cattivissimo
Il dolore più grande non è dovuto alla sua morte, e nemmeno al fatto che Non Essere Cattivo sia il suo testamento. Il dolore più grande è la mancanza, che resterà tale, dei suoi progetti abortiti, dei film che avrebbe voluto realizzare e che non ha potuto. Uno su tutti: la trasposizione cinematografica di una delle mie letture preferite, Andare Ai Resti (banditi, rapinatori, guerriglieri nell’Italia degli anni settanta) di Emilio Quadrelli. Ovvero la storie delle “batterie” di giovani rapinatori che nascono negli anni sessanta: erano bande nuove, caratterizzate da una forte solidarietà interna, da un ruolo delle donne inedito e fondamentale, dalle sfide continue alle forze dell’ordine. E sopratutto da una condotta in carcere che spesso portava alle rivolte, in complicità con i detenuti politici, contro le autorità. Andare ai resti, d’altronde, significa giocarsi il tutto per tutto. E una storia così viscerale e palpitante DOVEVA diventare un film di Caligari, sarebbe stato il suo capolavoro, avrebbe chiuso in bellezza la sua carriera, e avrebbe suscitato fiumi di polemiche ridicole. Ridicole e letali come ogni potere che si sente svelato e denunciato: non è un caso se dopo aver raccontato in Amore Tossico come l’eroina ha invaso i quartieri e distrutto i movimenti di protesta, Caligari sia riuscito a portare a termine un solo altro film, a quindici anni di distanza.
Pasolini. Un film scomodo
Un film scomodo. Scomodissimo. Tanto da provocare i crampi. Proiettato ieri nel Cineporto di Bari, in una saletta il cui pavimento è stato calpestato da un pubblico numericamente doppio rispetto alla sua capienza, a causa della presenza in sala del regista, che ha presentato il film in due parole come “un’esperienza da condividere”. Son stato costretto a guardare Pasolini accovacciato per terra, con le gambe e la schiena che mi facevano male già durante i titoli di testa. Dopo mezz’ora o poco più la situazione è peggiorata, i dolori aumentati e ho cambiato posto: in piedi di fianco allo schermo. Una prospettiva scomoda e sbilenca, ma azzeccatissima sia per la materia corsara del film, che per il febbricitante cinema di Ferrara tutto.
Siamo tutti Commissari Tecnici
Accade giustamente che la Grande Bellezza sia sulla bocca di tutti e tutti si sentano in diritto di esprimere la propria opinione al riguardo, ma è noto che l’opera d’arte vive nell’uso e nella percezione che se ne ha, quindi tutto questo chiacchiericcio, per chi vi scrive, è prova inconfutabile dell’essere la Grande Bellezza un Grande Film.
Le sorti del film nostro amatissimo si intrecciano con quelle di uno scrittore, no, non Jeb Gambardella, intendo uno scrittore vero, Nicola Lagioia, direttore della collana Nichel per la casa editrice Minimum Fax.
Lagioia non solo è scrittore, ma anche esperto di cinema: per chi sa e ama la significanza delle parole, scriviamo che esperto è ben diverso da appassionato, implicando una competenza che, scaturita presumibilmente dalla passione, si è definita e perfezionata con l’esperienza, lo studio avanzato e/o la pratica.
Per intenderci, esperto di cinema, per esempio, sarebbe colui che per meriti o curriculum viene chiamato come consulente da Alberto Barbera, attuale Direttore della Mostra del Cinema di Venezia, per selezionare film da presentare in Concorso e nelle altre rassegne del festival.
Ci risulta, fuor di esempio, che Nicola Lagioia svolgerebbe questo lavoro di consulenza, ma il suo curriculum non sembra recare traccia di esperienza o mestiere nel cinema:
Da MinimaetMoralia.it: Nicola Lagioia (Bari 1973), ha pubblicato i romanzi Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) (vincitore Premio lo Straniero), Occidente per principianti (vincitore premio Scanno, finalista premio Napoli), Riportando tutto a casa (vincitore premio Viareggio-Rčpaci, vincitore premio Vittorini, vincitore premio Volponi, vincitore premio SIAE-Sindacato scrittori). Dirige nichel, la collana di narrativa italiana di minimum fax. È una delle voci di Pagina3, la rassegna stampa culturale di Radio3. Scrive per diversi quotidiani, settimanali e riviste, tra cui Lo Straniero, Repubblica, Orwell, Il Venerdì di Repubblica, Repubblica XL.
Dov’è l’esperienza di cinema ?
A domanda in merito rivoltagli da un quotidiano locale, il nostro risponde prosaicamente tracciando una linea invisibile tra cinema e letteratura, ed accostandosi umilmente a suoi predecessori in quel ruolo (scrittori chiamati a far da consulenti a Venezia), quali, pensate un po’, Pasolini e Flaiano.
Ripeto: Lagioia come Pasolini e Flaiano.
Toccato nel profondo dal suo ardire, comincio a frequentare passivamente il blog degli autori Minimum Fax, fino a quando, ahimè, mi imbatto nella seguente recensione de La Grande bellezza, a firma sua:
La Grande Bellezza, un piccolo Gatsby
Non mi trattengo più, mi scappa e provo sarcasticamente a commentare il post firmandomi Dikotomiko, difendendo l’altezza del film di Sorrentino, spingendomi sorrentinianamente sul terreno del sarcasmo verso la ubris lagioiesca, rincuorato dalla pubblicazione di molte voci critiche nei commenti (anche al limite del vituperio) e vedo inizialmente pubblicato il mio post, tanto che sul pannello di controllo di Dikotomiko mi appare un contatto proprio da Minima et Moralia, poi, dopo pochi minuti, il mio commento scompare, ed appare sul questo blog il seguente commento (?) criptico al mio post su La Grande Bellezza, a firma Micky
Micky Micaela2@gmail.com 80.181.110.174 |
Inviato il 27/05/2013 alle 1:49 pm
Ma che film ha visto questo imbecille fallito? |
Coincidenza ?
Provo a riscrivere al buon Lagioia, invocando visibilità ai miei commenti, appellandomi alla sua affinità d’animo con Pasolini e Flaiano.
Niente.
Provo a scrivere senza riferimenti personali, riportando la recensione comparsa su dikotomiko.
Niente.
Scrivo al sito, chiedendo le motivazione della fatwa contro dikotomiko.
Niente.
Ho l’atroce sospetto di essere stato bannato, senza che qualcuno abbia chiesto a Pasolini e a Flaiano il permesso di farlo.
Ribadisco allora qui, a casa mia, quanto già scritto: non è che tutti debbano sentirsi in dovere o in diritto di scrivere di cinema, nonostante le eventuali comprensibili motivazioni derivate dalla patente di “esperto” apparsa nel taschino non si sa come e nemmeno perchè.
Il film di Sorrentino vola alto e non ha paura di farlo, seppure con ali di cera, e libera la sua forza soprattutto verso quella genia di autoreferenziati artisti di provincia, figli degeneri di un’ideologia strumentale, che si permettono di scrivere senza ironia vacuità abissali come le seguenti:
“Bisogna farsi attraversare da Roma, e amarla per poi farsi tradire e fottere (o il difficilissimo e sublime opposto: farsi amare e tradirla sul più bello) per poter raccontare qualcosa di questo enorme e bellissimo e orrendo crollante mondo urbano.”
Mimimum Max