Lo Squalo.


Ma va! Ma vaffanzum! Ma va! Vaffanzum alla Universal, vaffanzum a Spielberg, vaffanzum all’intero mondo sommerso. Correva l’anno 1975, e Lo Squalo si pappò i botteghini dell’intero mondo occidentale, USA, Inghilterra, Francia, Germania; sfondò la cortina di ferro approdando anche a Cuba, ovunque stupore e tremori. Un solo, unico Paese, nel profondo Mediterraneo, arginò il Leviatano: l’Italia, la derelitta Italia, che in quella stagione vide trionfare altri mostri, non marini ma di una comicità perduta per sempre, i goliardi interpreti di Amici Miei. Onore dunque a Mario, ad Ugo, Gastone, Duillio, Philippe; pane per quei terribili denti.

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Ready Player One, il film più bello del 2045.


Un grande cimitero, o una gigantesca discarica, dove tombaroli professionisti e robivecchi improvvisati guerreggiano da mane a sera, per appropriarsi di artefatti, simulacri, chincaglieria assortita. Questi sono gli anni 80 al giorno d’oggi, una miniera di ricordi unti e bisunti, stravissuti, logori, obsoleti e quindi suscitevoli di emozione, di compassione. Il film definitivo sugli anni 80, dico io, è Donnie Darko, di Richard Kelly: un film ambientato nel crepuscolo del decennio glitterato, girato da chi era adolescente in quegli anni, che parla di spazio e tempo liquidi, di sacrifici cristologici, di lati oscuri, di morte. Spielberg, invece, non gira un film sugli anni 80, non fa il retromaniaco, ma fa l’avantmaniaco, proietta nel futuro la sua ricerca del tempo perduto, consegnando a noi, tremanti e adoranti, un testamento, una promessa, una rivelazione. Ready Player One.

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Il Ponte delle Spie. Il muro di Spielberg è di cartapesta


Gli eventi luttuosi che funestarono il finire dell’anno 2015, già altrimenti orribile, determinarono per nausea o per converso una nuova indulgenza plenaria, nei modi e nei gusti. Per intenderci, a chi vi scrive capitò di ricevere in omaggio un cioccolatino al pistacchio, del valore commerciale di euro 1,60, munificamente e straordinariamente dispensato dall’Eataly di Bari con la seguente dichiarata causale: “per far ritornare ai nostri clienti il sorriso, dopo i fatti di Parigi”. Il ritorno al sorriso, alla bontà cioccolatosa dunque, anche nelle visioni, tanto che in quei giorni si riscontrò il trionfo, imprevedibile nella sua dimensione unanime e plebiscitaria, di un film altrimenti qualificabile come minore: Il Ponte delle Spie, di Steven Spielberg.

Tom Hanks is Brooklyn lawyer James Donovan and Mark Rylance is Rudolf Abel, a Soviet spy arrested in the U.S. in the dramatic thriller BRIDGE OF SPIES, directed by Steven Spielberg.

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Speciale Poltergeist, parte 2. Directed by…


Tobe Hooper, che in tenera età perse il padre, dichiarava di essere stato testimone diretto di eventi riconducibili al fenomeno dei Poltergeist: porte che si spalancavano da sole, piatti che volavano allegramente per la casa, altre cosette del genere, tutti eventi accaduti – o percepiti – dopo la morte del papà. Questi ricordi, affermò Hooper, sono stati l’ispirazione per il film. Nondimeno, anche ereditare l’ufficio di Robert Wise alla Universal ha avuto notevole importanza: Wise aveva infatti dimenticato in un cassetto un libro, che aveva utilizzato durante le ricerche svolte per Gli Invasati, e questo libro trattava proprio l’argomento Poltergeist. Così, quando Spielberg gli propose la regia di Night Skies (che avrebbe dovuto essere il seguito di Incontri Ravvicinati), Tobe rifiutò per assenza di empatia verso gli alieni, e disse a Steven che avrebbe preferito una storia di fantasmi. Steven fu evidentemente stimolato da Tobe, e Night Skies mutò forma e si divise a metà, generando Poltergeist ed E.T.. Eppure, alla domanda “chi ha diretto davvero Poltergeist?”, è inevitabile che la maggioranza assoluta degli spettatori risponda Spielberg.

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Speciale Poltergeist, parte 1. Il miglior film di Spielberg


As God is my witness, I saw the thing. It’s unbelievable. Il genere horror non è morto, anzi è vivo e lotta insieme a noi: facendo due conti, si scopre infatti che nel 2014 sono stati prodotti e distribuiti worldwide ben 147 film di paura, 84 in più, per prendere un anno a caso, del 1982. Non è un problema di quantità infatti, ma di qualità, perché a scorrere i nomi dei registi ci si accorge che l’horror attuale è pieno di pischelli che si fanno (e che maciullano) le ossa, o di mestieranti più o meno velleitari, invece nell’anno dei mondiali ci si spaventava con Dario Argento – quello vero, Argento vivo – Carpenter, Romero, Schrader, Fuller, Fulci, Damiani. E poi, o prima, campione del mondo dell’82 era Poltergeist, non un altro film sulla possessione ma un film posseduto, bipolare, maledetto. E capolavoro del cinema di tutti i tempi, ça va sans dire, girato da una coppia di fatto, Steven Spielberg e Tobe Hooper. Per le famiglie, sulla famiglia: quella americana dei baby boomers, diventati grandi e ricchi a forza di deregulation ultraliberista e megabolle immobiliari. Ma stiamo zitti un attimo e mettiamoci a guardare la ridente Cuesta Verde, nuovissimo esclusivissimo complesso residenziale di California, entriamo in casa dei Freeling, in questa villetta su due livelli, monofamiliare in tutto meno che nell’antenna e nel telecomando della TV, condiviso in duplex con i Tuthill, odiosi vicini facce da sitcom. Al piano terra ampio salone, cucina e disimpegno; al piano di sopra i servizi, la stanza da letto dei bimbi, quella della figlia più grande, poi quella matrimoniale. Zoom qui: Steve, marito e padre, legge una biografia di Ronald Reagan; Diane moglie e madre, ha sul comodino un saggio di Jung. Carol, la figlia più piccola, è forse sonnambula, la notte prima l’hanno trovata che parlava al TV color, imbambolata davanti all’effetto neve, ma loro sono rilassati, complici, arrivati. Lei fuma una sigaretta, no no, è proprio uno spinello, sta per passarlo al marito, incredibile, e se si sveglia qualcuno? Qualcuno in effetti si sveglia, in questo e quell’altro mondo, e comincia la sarabanda.

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#JurassicWorld. Duro Rex, sed T-Rex.


C’è una ragione per cui il capitalismo è alla canna del gas, non è l’avidità vampiresca delle multinazionali della finanza, non è lo stato di guerra permanente contro nemici endogenerati, non è il surriscaldamento globale e l’esaurimento delle risorse scarse, no. il capitalismo sta morendo perché non è più cool, non è più sexy, non è più appealing, incapace di continuare a vendere sogni su scala globale, Sogni come esperienze raggiungibili ancorché tangibili, spettro (spettri) di possibilità, ridotte oramai a set di cartongesso e congegni meccanici, confinati nei recinti  di qualche divertimentificio, sperluccicante spersonalizzante parco a tema, alieno come una riserva indiana, inaccessibile come un castello della Baviera, e tanto, tanto costoso. Welcome to their Jurassic World, welcome back to Isla Nublar.

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Young Ones, derivante da Paul Thomas Anderson


Frontiera ultima. Come estrema, oltre la quale il nulla. Come definitiva, senza la quale la fine. Luogo geografico politico. Punto di arrivo da occupare, punto di partenza da superare, punto di vista. Si tratta di spazio, tra quattro pareti o ignoto profondo, si tratta di tempo, finito o prossimo venturo. Il cinema guarda fisso alla frontiera, la vede chiara attraente come un miraggio, oppure cupa spaventosa come un abisso. Se alza gli occhi allo zenit è il cielo, se li abbassa al nadir è la terra. Ora Young Ones, di Jake Paltrow, e terra sia.

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La storia incomincia domani qui, a sud del west, da qualche parte della California senza Dio.

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