Pericle il Nero, ci meritiamo Riccardo Scamarcio


Le informazioni sono ovunque, liberamente accessibili, immediatamente fruibili.  Ci possono essere criticità legate all’autorevolezza della fonte, alla sua attendibilità, ma sono ovviabili ponderando più dati da più sorgenti, traendone alla fine una sorta di informazione mediana, o grezza, da accantonare o valorizzare sulla base dell’interesse personale. Nel caso di questo film, il solo titolo mi coglieva in direzione erronea e contraria, credevo si trattasse di teatro sperimentale, uno di quegli inutili monologhi, sotto un benevolo occhio bovino, cui la gente del cinema si presta quasi per dovere, per conseguire la patente di artista a tutto tondo, per sperimentare il contatto con un pubblico reale, per brecciare la quarta parete e così via, di luogo in luogo comune. Mi sbagliavo evidentemente, Pericle il Nero è un film di Stefano Mordini, con Riccardo Scamarcio.

pericle il nero

Acceso di curiosità e tardivamente fecondo di aspettative, mi sono precipitato al cinema (Red Carpet, Matera, sala deserta, ma questo già lo sapete) pregustando un nuovo capitolo, nero come da titolo, della New Italian Epic. Quel movimento, quella corrente, quell’estetica codificata dai Wu Ming in modo transmediale, dalla letteratura al cinema, e che nella letteratura come nel cinema sembra partire da Romanzo Criminale. Narrazione di gesta titaniche, collettive o individuali, in un contesto italiano che è presente distopico, de-ideologizzato, de-moralizzato, de-formato. Storie salienti, sceneggiature solidissime, personaggi costruiti su attori di carne e sangue, e tutti, variamente, c’erano già in Romanzo Criminale, eccezion fatta per il grandioso Luca Marinelli, di certo per ragioni anagrafiche. C’era Favino, poi maledetto in Suburra; c’era Accorsi, poi esorbitato in 1992 e anche in Veloce Come il Vento, Claudio Santamaria poi in arte Jeeg Robot, anche Elio Germano, folle e massacrato tra Diaz Don’t Clean Up This Blood e Come Dio Comanda.

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C’era anche Scamarcio, ironia della sorte si chiamava il Nero, ed ora eccolo qui, in questo film che proietta il New Italian Epic oltre le italiche frontiere. La storia infatti, che nel romanzo d’origine si svolgeva entro i nostri confini, viene trasposta in Belgio, Paese di cui ho una percezione tristissima (a parte Bruges, In Bruges, ma anche per Bruges ho struggimento e malinconia), nuvole basse e solitudine e inverno perenne, e Mordini pure ce l’ha, evidentemente. Scamarcio, Pericle il Nero, Pericle Scalzone all’anagrafe, è un Danny the Dog sui generis, un sicario della camorra delocalizzata a Liegi, non ha famiglia ma ha padrone, e costui lo utilizza nelle vesti di anal intruder, di stupratore su commissione, un asettico, anaffettivo sodomizzatore di nemici e oppositori. Tecnica collaudata, sacchetto di sabbia a stordire il malcapitato e poi via, giù di spatola, Pericle non si fa domande perché è zelante nel suo primo lavoro, e anche nel secondo lavoro, come attore a cottimo di film porno, forte della sua erezione on demand. Personaggio nuovissimo nel nuovissimo cinema italiano, potrebbe essere una sorta di satiro punitore che alla bisogna diventa vendicatore, le premesse ci sarebbero pure rinforzate da una passione liquida per le droghe sintetiche, purtroppo però vengono presto disattese. Perché questo film è una coproduzione, con un arco di finanziamenti che svaria da Lazio Film Commission – meritorio che contribuisca ad un’opera fuori dalle solite autarchiche cartoline – ai Fratelloni Dardenne, passando per Valeria Golino e per lo stesso Scamarcio, in evidente smania da one man show, e quello che tiene insieme questa coproduzione è, sfortunatamente, il moralismo.

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Pericle  infatti è maledetto ma compatibile (nel senso di meritevole di compassione), gli manca mammà e l’amore di una famiglia vera, così il suo fallico antieroismo si trasforma in un già visto marginalismo, un altro cane sciolto reietto della società che vive nell’ombra, si aggira ai margini dei focolari familiari, bramando il calduccio di un seno (materno) e di un’alcova. La ricerca è disperata quindi anche metafisica, da Liegi si passa ai fumi ed alle sabbie di Calais, e qui Mordini svela il suo obiettivo primario, che è quello di rappresentare un ambiente ostile – il mare gonfio di Calais, i palazzi osceni pregni di infiniti cubicoli, come una Scampia glocalizzata-, in cui l’uomo è, esiste, ma incidentalmente e senza capacità di determinazione. Una prospettiva ulteriore allora rispetto al New Italian Epic, più vicina invece a certe coordinate del noir europeo autoriale, cinema di atmosfera nelle immagini e nei suoni, in contrasto irrisolto con la tipizzazione delle azioni, fedeli alle coordinate teleologiche del genere, da colpa a tradimento, da tradimento a vendetta, da vendetta a palingenesi.

pericle il nero poster

 

La dicotomia tra guardare e fare produce però troppo dire, alcuni spiegoni francamente intollerabili, e un’eccessiva stilizzazione dei personaggi secondari, cloni sbiaditi del nuovo paradigma e vincente che è Gomorra la Serie. Nel complesso, Pericle il Nero è una visione valida ma non essenziale, che comunque rafforza la consapevolezza dell’internazionalità e dell’esportabilità del cinema italiano, oggi. Resta la menzione d’onore e tutto il mio conterroneo affetto per Scamarcio, attore significante e pregnantissimo, a cui consiglio di non voltare mai le spalle, altrimenti sono dolori.

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