Avatar; the way of water, das blaue licht


“Sono stato attratta dalla bellezza sin dalla mia infanzia. Nelle mie memorie ho descritto come da bambina mi occupavo di farfalle, di fiori, di cose romantiche e di come componevo poesie e di come la danza mi affascinava. Ero molto affascinata da tutto ciò che era bello. Questo era ciò che volevo catturare nelle immagini. L’altro, il brutto, mi commuoveva molto quando i grandi artisti lo rappresentavano. Ma io stessa non volevo crearlo perché in questo caso simpatizzavo troppo con esso. Volevo condividere la mia esperienza di bellezza con gli altri in modo che potessero riviverla. Volevo catturare la bellezza, che ovviamente è transitoria. L’opposto della bellezza mi rende triste, e mi è venuto in mente che quando uno è malato o triste o si sente negativo. Sarebbe davvero bello se potesse godere della bellezza. Non a tutti piace il bello, ma alla maggioranza piace più del brutto che si tenta di superare. Come il malato si sforza di guarire, così cerca di avere un aspetto migliore, è del tutto naturale.”  Parole di Leni Riefensthal, intervistata dal quotidiano Die Welt sul limitare della sua vita terrena, il 7 gennaio 2002.

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La Mala – Banditi a Milano. Ra ta ta ta ta ta ta!


Renato Vallanzasca aveva 6 anni e giocava con i soldatini di gesso, mentre guardava altri bambini giocare con quelli di piombo. Non gli sembrava giusto. Rubò quelli di piombo.

A 8 anni insieme al suo fratellino scassinò le gabbie del circo con l’intenzione di liberare gli animali maltrattati. Perché le sbarre trasformavano anche gli animali più feroci in peluche innocui e depressi.

Il giorno dopo venne prelevato dalla polizia e portato nel carcere minorile di Beccaria, dove l’accoglienza dei piccoli detenuti lo fece sentire una star.

E’ l’inizio, forse è anche la fine, di una tra le tante storie italiane che ne compongono un’altra, più grande, che le contiene tutte e se le trascina in grembo a stento da mezzo secolo.

La Mala – Banditi a Milano è il titolo. Si tratta di una docu-serie in cinque puntate, un nuovo, terribile ma avvincente e indispensabile, salto indietro nel tempo e nella storia disgraziata di questo paese. Tra due giorni Sky e Now TV cominceranno a trasmetterla. E’ bene dirlo subito, per fugare ogni dubbio. Si tratta di una visione imperdibile.

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La Q di Qomplotto, la Wu di Wu Ming


QAnon, ancora e anQora. Siamo fissati, lo so. I motivi sono tanti, anche legati all’immaginario cinematografico. E’ una storia che non sappiamo come andrà a finire, ma che di sicuro sembra scaturita da una sceneggiatura oggettivamente brutta e inverosimile, nessun produttore sgancerebbe un centesimo per una storia del genere. O forse si? Chissà. Torniamo su QAnon per un motivo forte, fortissimo, e probabilmente definitivo. Probabilmente. E’ appena uscito per le Edizioni Alegre un libro che non abbiamo remore a definire epocale, oltre che indispensabile. Il titolo è La Q di Qomplotto, e l’ha scritto Wu Ming 1.

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Dark. Un oscuro scrotale.


La coerenza dei personaggi, questo è l’ultimo tabù. “un personaggio di un libro – di un film parimenti, aggiungiamo noi – deve essere coerente in tutte le cose, mentre l’uomo è coerente in una cosa sola: è coerentemente vanitoso. E’solo la sua vanità che mantiene le sue particelle umide e aderenti una all’altra, impedendogli di essere come qualsiasi altra manciata di polvere, che il primo vento che passa può disseminare”. Lo ha scritto William Faulkner, in Zanzare, e amen. Questo è il nostro incipit, anche noi cadiamo nel reato di appropriazione indebita, come quei creatori di serie tv che tatuano frasi celebri su ogni maledetta puntata, di ogni maledetta stagione. Noi lo facciamo per una buona causa, loro lo fanno per vestirsi di autorevolezza, quella che non hanno. Quella che Dark non ha.

 

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We Summon the Darkness. Finisce l’era del #metoo, inizia il #me(tal)too!


Dal punto di vista della scrittura, il #metoo ha prodotto più danni del maccartismo. Autocensura a gogo, Sceneggiature capovolte, ginocentrismo  tolemaico, con la donna al centro di qualsiasi universo, e figure maschili definite con l’accetta, in modo grossolano.  Il disastro è stato ancora più evidente nell’horror, dove il dualismo tra boogey male, babau, villain alfa da una parte, e final girls dall’altra, aveva caratterizzato quarant’anni e passa di produzione. Con We Summon the Darkness il #metoo arriva alla codifica definitiva, passa all’(heavy) #metaltoo: un genere nel genere, quello dei film a tema metallaro, che da nero diventa rosa sangue. Il film è We Summon the Darkness, dirige, sceneggia Alan Trezza, produce e interpreta Alexandra Daddario.

WE SUMMON THE DARKNESS Trailer Extended (NEW 2020) Alexandra ...

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High Life, di Claire Denis. Claire, take us into the light!


 

 

Gretel & Hansel. Le streghe di Oz


Le buone intenzioni, l’affabulazione, le tue pietre miliari il Fauno e Nosferatu, l’inquietudine e l’adolescenza, giri da dio e lo fai consapevolmente. Sono sincero, sono strabiliato. E fortunato, tanto, tanto fortunato, perché mi tocca parlare di Gretel e Hansel, un film straordinario, caduto come un monolite tra di noi che sospiriamo, gementi e piangenti, in questo abisso claustrale. Un film ginocentrico: la donna al centro dell’universo, il passato, il presente, il futuro, l’eterno. Ginocentrico perché esiste intorno a Gretel, che è Beverly Marsh nell’It di Muschietti, che è Sophie Lillis. Bellissima, angelicata e torbida, emanante luccicanza in ogni frame, un tuffo al cuore e la struggente nostalgia di conoscerla da sempre e di non averla conosciuta, di non averla avuta mai, quando si annaspava nei suoi anni. Che sono, più o meno, i 16 anni.

Film School Rejects calls Sophia Lillis “fantastic” in Osgood ...

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Giuseppe Genna

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