Haku è lo spirito del fiume. E’anche un drago bianco alato, che sprigiona la grazia della sua potenza al culmine de La Città Incantata, quando Chihiro ha perfezionato il suo avventuroso apprendistato ed è diventata altra da sé attraverso il mondo degli spiriti. Il medesimo drago bianco, dormiente subacqueo, è all’incipit del Racconto dei Racconti, l’origine di un universo di fantasmi che vive effimero in un moto costante, quindi violento, per svanire al fare del nuovo giorno. Garrone come Miyazaki quindi? Sì amici miei, non vi sembri eresia, è pura realtà. O è semplicemente la nostra immaginazione, il che è lo stesso.
E’ che Il Racconto dei Racconti è un’opera formidabile, sprigionante sogno tanto quanto autorevolezza, rassicurante nella sua semplicità eppure perturbante nella sua diversità. Non si tratta di sospensione dell’incredulità, si tratta di invito a guardare con i propri occhi – a toccare con mano, verrebbe da dire – gli universi possibili che coesistono in spazi consegnati per sempre al passato, arcani ma per sempre pulsanti di vite proprie, come il parco divertimenti abbandonato de La Città Incantata dicevamo. Guardino siori, guardino cosa accade(va) dentro Castel del Monte, oggi spazi vuoti e pietra, in un altro quando dimora di una fanciulla virginale infelice e di un re vedovo innamorato della sua pulce. Venghino a vedere Roccascalegna, dove da mane a sera bighellona(va) un re barzotto, infoiato al suono di una voce e atterrito dal sesso di una vecchia megera. Contemplino, infine o per principio, la regina e il suo figlio albìn tra le mura del Castello di Sammezzano di Reggello, di Palazzo Chigi ad Ariccia, nei meandri del labirinto di Donnafugata.
Mondi che non si sovrappongono ma coesistono, incanto e straniamento, inquietudine ovunque, sottile come polvere, nei dettagli fuori fuoco che sono bachi nel sistema percettivo: un muretto a secco sbrecciato nel labirinto, un porticato cadente, una bifora malandata. E’ il presente che avanza, eppure viene ricacciato indietro o avanti, spazzato come polvere, appunto, dal vento dell’affabulazione. La visione non è mai nitida, sovente si appanna come dietro una maschera da palombaro – derivante da Verne, o da Melies, o da Anderson -, si frammenta dietro un vetro smerigliato, si blocca dietro una porta di legno, con un buchino, uno solo, un glory hole per sprigionare il desiderio e liberare l’impeto della suggestione. La magia qui non è una questione di prospettiva, dell’infinitamente piccolo che guarda l’infinitamente grande, per Garrone come per Miyazaki è il risultato di un patto: fidatevi di me, dice Garrone dice Miyazaki, prendetevi il mio tempo, guardate con i miei occhi, ve lo conto io com’è che va. Lo Cunto de Li cunti è del 1600 come la lanterna magica di Kircher, va che l’immagine come l’azione è rovesciata, sovvertita, mettetevi a testa in giù e tutto vi sarà chiaro: i circensi si esibiscono ma in realtà stanno a guardare le umanissime vicende di un universo grottesco, l’orso ammaestrato fa ridere non più di una vecchia che cerca la giovinezza nella colla o nella lama di un arrotino, l’abile trapezista vacilla incalzato da un orco pervicacemente appeso alla sua corda. Grottesco tutto, anche la natura, che non è l’orrido bosco allegorico della tradizione della fiaba europea, diventa invece essa stessa paesaggio mentale come le architetture costruite e popolate dall’uomo, e mirabile in tal senso è l’utilizzo di luoghi che sono reali eppure fantastici, fuori di effetto speciale in quanto essi stessi mitopoietici, così la grotta del drago nelle Gole dell’Alcantara, così la caverna dell’orco negli ipogei di Mottola.
Si ha alfin l’impressione di assistere ad una messa in scena, ad una rappresentazione non vera ma viva, perché si rigenera e si autogenera secondo traiettorie imprevedibili, capace di mangiare il cuore di chi guarda incantando gli occhi e la mente. Se per miracolo, amici miei, si intende un fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in quanto oltre i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere, allora miracoloso è ciò che compie Matteo caro nostro, come miracoloso è sempre il più grande acchiappasogni del mondo. Garrone, come Miyazaki.