Suburra. Ci meritiamo Stefano Sollima


Lo sapevamo già, siamo andati al cinema come metallari adoranti ad un Monsters of Rock. Lo sapevamo già, ma non eravamo preparati a tanta audacia, tanta potenza ininterrotta e irrimediabilmente oscura. Ora, dopo due ore di questa pioggia di lame, proiettili, sangue, fango, liquami, dopo tutto questo squallore disgraziato e di questi uomini miserabili un dubbio feroce ci assale, che la visione sia incapace di educare le masse, che sia puro e sterile compiacimento solo per noi che già lo sapevamo, noi conformisti avvezzi a guardare l’inferno senza fare una piega, assuefatti a livelli variabili di tossicodipendenza, morbosamente esaltati dal putrìo in quanto stanchi di essere indignati. L’ironia per noi è oramai una scatola vuota, del cinismo conosciamo tutte le sfumature, l’Apocalisse al cinema è la sola modalità di rivoluzione che tolleriamo. Pensiamo tutto questo, poi ci ricordiamo che Suburra è solo un film, un grande film, e i nostri dubbi si trasformano in entusiasmo bimbo, si fottano le masse.

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Instant movie, si definiscono così i film confezionati in fretta su fatti di cronaca nera, rosa o gialla ad elevato livello di clamore, instant come riferimento ad un passato prossimo trasformato dai media in presente continuato. Alcuni film di Damiano Damiani sono instant movie, così anche opere di Giuseppe Ferrara, vieppiù è difficile negare che Rosi abbia fatto instant cinema – la famosa sempiterna attualità del cinema politico – , ma se accettiamo il tempo vettoriale come categoria discriminante anche Fernando Di Leo è della compagnia, anche Umberto Lenzi, Petri, Bellocchio, Enzo Castellari. Ecco che Suburra si inserisce naturalmente in questo filone aureo, è un instant movie perchè rappresenta un mondo criminale in costante ed immutevole divenire, è un film dell’oggi perchè dalla rappresentazione esclude lo Stato, la legge, l’ordine (de)costituito, non ci sono commissari, niente ispettori, nemmeno l’ombra di un prode brigadiere nè di un poliziotto superpiù, è il tempo dei morti viventi e dell’empia mangianza, delle orge  e delle overdose di prostitute minorenni esibite in alternanza alle immagini intime, grottesche, impietose di un papa in-sofferente e in procinto di fare il gran rifiuto. Immagini che spogliano il potere romano, sempre uguale a se stesso, dove tagliagole e deputati si cercano e necessitano uno dell’altro, e dove anche il più feroce assassino sa di doversi controllare e accucciare davanti al profitto.

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Bulletti ambiziosi, omaccioni spaventosi e psicopatici pronti a tutto inseriti in contesti alieni ultramoderni ultrakitsch, asettici e scintillanti, tarsparenti e occulti, sfarzosi e decadenti, popolati da masnade di bambini e custoditi da raffinate segretarie tuttofare. Deputati, faccendieri, fascisti, prelati, ex fascisti, comunisti in fieri, zingari technicolor, cravattari, borgatari, una teoria di mostri che detta così sembra una canzone di Mino Reitano. Samurai, Numero 8, Manfredi, Spadino, Viola, divinità emerse dal fango e dai tombini, figurine di un album avant-lombrosiano con Dandy, Libano, Genni Savastano, Don Pietro, Donna Imma, Ciro o’Immortale. Tutti eccezionali, tutti in parte, solo Favino, per quanto pregno di ostinata abnegazione, non riesce a trasformarsi e continua ad essere Favino, così anche Germano è sempre Germano, Sollima lo sa e li sprofonda in un pozzo nero di abiezioni e tradimenti, li usa come corpi nudi volgari o brutalizzati, sovraimprime sul loro passato il suo marchio, la sua personale idea di cinema.

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Suburra non è giudizio morale perchè è oltre le dicotomie, un solo Dio governa questa Capitale ed è Mammona, la sua legge di morte vale qui come in tutto l’orbe terraqueo, Roma è sè ma anche altro, è Città del Messico, Medellin, Boston, un territorio hardboiled dove i vermi strisciano e strisceranno per sempre. Nel suo essere film di genere, il film di Sollima diventa universale, diciamo meglio, internazionale, e scientemente parla un esperanto cinematografico, omaggia la tradizione anzidetta ma strizza l’occhio al cinema americano ed ai maestri di Hong Kong e del Sol Levante: la pioggia sporca, la caratterizzazione dei personaggi, i duelli, gli inseguimenti, l’uso dei luoghi fisici come estrinsecazione di personalità deviate, o devianti. Merito di Sollima e della sua squadra di autori, incredibile a dirsi, italiani, davvero, italiani, un gruppetto di persone con le idee chiare in testa, la capacità e la voglia di fare cinema commerciale – puro entertainment -, il migliore possibile, sul grande o sul piccolo schermo. Questa è gente come noi ma libera, indipendente e sicura dei propri mezzi, che anche se resta chiusa in casa la sera non guarda le repliche dei film di Woody Allen, non si ferma alle fiction da Italia film commission, guarda Narcos ma anche 1992 #daunideadistefanoaccorsi, Profugos, Fargo, Hand Of God con occhi attentissimi e mano sul telecomando, pronta a spingere pause e rewind durante le sparatorie iconiche di True Detective 1 e 2, e il risultato è una scena, nel bel mezzo di Suburra, che come ha già scritto Davide Pulici è da studiare nelle scuole di regia. Romanzo Criminale e Gomorra sono serie tv di livello alto e altissimo, e Suburra – visibile già ora negli USA per i 65 milioni di abbonati a Netflix – è la naturale prosecuzione di quell’elenco, è film unico ma sarà anche serie inevitabile, di successo e qualità garantita. 

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Usciti dalla sala, ci siamo imbattuti in una tipica spettatrice del Mercoledì, canuta, ottuagenaria, compunta come un cadavere eccellente: che mondo!, ha esclamato cercando con gli occhi la nostra approvazione. Che mondo, che schifo, che spettacolo!

 

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