Chi-Raq, il nuovo film di Spike Lee. No peace, No pussy! #oscarssowhite


Per quanto notoriamente amante delle dicotomie, ho sempre avuto in odio il cinema sul genere. Non il cinema di genere, badate bene, ma sul genere, quello che si qualifica per l’importanza sociale delle tematiche prima ancora che per la cifra stilistica di autori e protagonisti. Il cinema queer, per esempio, con i suoi festival , mi è sempre sembrato autoreferenziale e isolazionista, essendo la sua visibilità compromessa proprio dai limiti del recinto autoimposto. Così pensavo anche del cinema nero americano, quello che dal 2000 si autocelebra con i Black Reel Awards, premi riservati a cineasti neri, premi minori, secondari, perché se accanto alla parola cinema si colloca un aggettivo qualificativo si finisce sempre nel territorio del “di cui”, dell’eccezione, dell’attenuante di giudizio . Così pensavo, e mi sbagliavo. La polemica di questi giorni, circa la bianchitudine delle nomination all’Oscar 2016, mi ha oggettivamente colpito, credo sinceramente che alcuni titoli o autori siano stati esclusi dalla premiazione di quest’anno in base al colore della pelle. Tra questi, Spike Lee, ed il suo magnifico Chi-Raq, prodotto dagli Amazon Studios.

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Si potrebbe obiettare che Spikie abbia già ricevuto l’Oscar alla carriera nello scorso novembre, premio strano, puzzolente di ipocrisia perché conferito ad un autore nel pieno della sua produzione e dalla creatività ancora fertilissima. Le cose però non funzionano così, c’è modo e modo di riconoscere il valore di un’opera, in questo caso occultata al grande pubblico e sottratta dall’attenzione di media e social network. Si potrebbe ad esempio premiare il gigantesco Samuel Jackson, aedo cantore in Chi-Raq, in un ruolo straordinariamente e imprevedibilmente complementare rispetto a The Hateful Eight. Così facendo si otterrebbe un risultato artistico ma anche politico, perché i film di Lee e di Tarantino sono quanto di più esplicitamente politico sia stato prodotto da Hollywood negli ultimi anni. Film sulla violenza, sulla giustizia, sulla società americana. Dentro le viscere della società americana, siano esse il vecchio West o uno qualsiasi dei millanta ghetti di Chicago.

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Chi-Raq è appunto Chicago, the city, in felicissimo neologismo per connotarla quale diuturno teatro di guerra tra poveri, tra neri che si ammazzano giorni e notte a colpi di arma da fuoco, più e peggio che a Baghdad. Qui Spike l’audace ambienta la sua personale trasposizione di Lisistrata, commedia di Aristofane, conservando i nomi  greci dei protagonisti ma sostituendo alla metrica il ritmo sincopato, gutturale ed aggressivo del rap, espressione di quella black street fighting culture che ha innovato il linguaggio e le espressioni di tutte le principali lingue mondiali. Si parte da un episodio banale nella sua ricorrente, quotidiana tragicità: una guerra tra gang rivali lascia sull’asfalto una bambina, vittima innocente. E’allora che scende in campo Lysistrata, pupa del boss eponimo Chi-raq. Popputa come Pam Grier, deretanica più di Beyonce, afro-Lysistrata si allea con le altre donne, di mala e non solo, per riportare la pace: sciopero, occorre incrociare le gambe e non le braccia. Sciopero del sesso a tempo indeterminato, fino a quando le armi non canteranno più, no peace, no pussy, negotiate for copulate, make love or war, chè insieme love e war sono un ossimoro. Questo c’era già nell’originale Lisitrata, in Chi-Raq diventa invece il colpo di genio, perchè sposta la guerra tra neri, intra-razziale, al livello di guerra tra sessi inter-raziale, e per farlo sceglie un linguaggio ibrido, sperimentale, da commedia lisergica con guizzi da musical formaniano.  Il movimento delle donne ribelli assume un valore assoluto, desacralizza il machismo intrinseco alle culture dominanti ed alle organizzazioni criminali, abbatte dalle fondamenta il totem del diritto al possesso ed alla circolazione delle armi, così diffuso e sentito negli USA. Attingendo a piene mani dal repertorio filmico Blacksploitation, ma anche e soprattutto dal Warriors di Walter Hill (“Bitches and hoes, come out to play!”), Spike distrugge i miserabili gangsta neri ed i politicanti bianchi, ridotti a bambini frignanti in cerca della tetta materna. O del culo, perché l’occasione è propizia anche per satireggiare sulle ossessioni  e gli stereotipi sessuali della sua gente, big tits, big booty. In mezzo ci mette un predicatore bianco, John Cusack con una voce cavernosa degna del più accorato Leonard Cohen, che si produce in un sermone-invettiva sulla necessità di unirsi contro la National Rifle Association, contro il sistema sociale e politico che crea disuguaglianze e violenza perché è grazie a quelle disuguaglianze, a quella violenza tra poveri che il capitalismo bianco si preserva e si perpetua.

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Le No Pussy Riot fanno sul serio, con le sole armi della seduzione assaltano ed espugnano una caserma della waspissima Guardia Civile Americana, memorabile l’inganno perpetrato all’infoiato comandante veterosudista, che, smanioso di ghermire le nere tornite natiche, si fa spogliare, bendare ed incatenare al priapico cannone residuato della Guerra Civile. L’epilogo è tragico e comico insieme, la riconciliazione pare effimera quindi amara, tra corpi procaci grottescamente esibiti e interminabili teorie di foto dei caduti di questa assurda guerra permanente, che è anche la nostra, Chicago come Milano, come Napoli, come Bari, come Città del Messico.

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Chi-Raq è stata un’apocalisse al box ofiice, ed anche la critica USA ha infierito con ferocia sospetta, il film è di fatto invisibile e già condannato all’oblio. In Italia forse non arriverà mai ed è un vero peccato, perché è la sorpresa più bella di questo 2016 così promettente. Pace, Fratelli e Sorelle. Potere Nero. Potere al Pelo.

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